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Nuove rivelazioni

Risparmiateci il complotto di Stato sulla morte di Pantani

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Chi erano quelle «persone» che hanno costretto (cosa mai vista!) la Polizia Scientifica a fare anticamera nella stanza dove è morto Pantani? La memoria del Pirata non merita di vivere nell'eterno, e italico, sospetto di un complotto di Stato.

Editoriali 02_10_2024

No. Il complotto di Stato sul corpo di Marco Pantani non credevamo di dovercelo meritare. Il sospetto che la tragica morte del Pirata sia stata coperta da un inquinamento delle prove disposto dall’alto speravamo di non dovercelo bere. E invece eccolo qua, servito su un piatto d’argento 20 anni dopo, quando probabilmente le prove di un suo possibile omicidio se ne sono già andate da tempo.

Il colpo di scena arriva dalle nuove rivelazioni nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Trento che indaga per associazione di stampo mafioso finalizzata alle scommesse clandestine e collegata al decesso del ciclista. Due agenti della Polizia scientifica intervenuti nella stanza D5 del Residence le Rose di Rimini dove l’ex campione era stato trovato cadavere, hanno dichiarato di non essere stati i primi ad intervenire sul luogo. C’era qualcuno a cui hanno dovuto fare spazio prima, secondo una direttiva ricevuta dall’alto.

Ecco quanto hanno dichiarato: «Ci diedero disposizioni affinché io e il collega aspettassimo fuori. Prima di noi – secondo quanto ha riferito La Presse - entrarono altri nella camera dove morì Marco Pantani. La cosa mi parve strana in quanto sulla scena del fatto su cui si indaga, a mio parere, per primi dovrebbero entrare gli operatori della scientifica opportunamente attrezzati con calzari, guanti e tute».

L’idea che la Scientifica o i Ris debbano fare anticamera prima di intervenire per fare il loro lavoro, fa a pugni non solo con le più elementari basi di criminologia e medicina forense, ma anche con la più comune delle procedure di intervento di polizia.

Tutti quanti, quando assistiamo ad un fatto tragico sappiamo che ci sono sempre delle gerarchie di intervento. I primi sono gli eventuali soccorsi, 118, vigili del fuoco, squadra mobile della Polizia, nucleo operativo dei carabinieri per risolvere la causa che ha provocato l’intervento, salvare feriti, operare gli arresti, mettere in sicurezza oggetti o gas fuoriusciti; poi tocca al pm e subito dopo, quasi contemporaneamente a lui, entrano in scena la polizia scientifica o il Ris che sigillano immediatamente la scena del crimine o del fatto per dare poi agli inquirenti la possibilità di indagare con il maggior numero degli elementi a disposizione nell’esatto momento in cui i fatti si sono svolti. Spostare una sedia o passare sul pavimento con un paio di scarpe sono fatti che possono essere decisivi e possono inquinare le eventuali prove di un omicidio o di un suicidio.

Ora, nel caso di Pantani, una volta accertata la sua morte da parte dei sanitari, non c’era bisogno di far entrare nessun altro, se non appunto gli operatori della Scientifica. Chi erano dunque quelle persone che sono entrate prima e che hanno costretto, cosa unica e inaudita nella criminologia, gli agenti della Scientifica a fare anticamera?

Ovviamente non poteva trattarsi di inquirenti e nemmeno di altri operatori, sennò gli agenti avrebbero riferito la cosa senza classificarla come strana, come invece hanno fatto. Né di estranei alle indagini visto che la Polizia era già intervenuta a tenere lontani i curiosi. Dunque, doveva essere qualcuno autorizzato dall’alto. Ma chi?

La preziosa informazione getta più di un’ombra su che cosa è successo davvero il 14 febbraio 2004 a Rimini, ma non può restare uno dei tanti elementi che avvolgono di mistero una vicenda tragica su un simbolo nazionale che meriterebbe di essere trattata diversamente.

Già pesa sul ritiro del campione il pesante sospetto di un giro di scommesse clandestine gestito dalla Camorra che avrebbe portato a quei controlli antidoping alterati a Madonna di Campiglio cinque anni prima della sua morte, che hanno per sempre sconvolto la vita del Pirata.

Ora, legare i due sospetti o le due condizioni, da un lato un tranello voluto dalla malavita per costringere il Pirata a ritirarsi e far vincere gli scommettitori sulla sua esclusione nel Giro del ’99 che stava dominando e dall’altro la sua morte cinque anni dopo in un contesto di spaccio di droga e farmacodipendenza, è molto difficile. Ma è il lavoro che la Procura di Trento sta portando avanti con pazienza certosina. Scoprire ora che in questa intricata vicenda c’è anche il pesante sospetto dell’inquinamento delle prove, getta non solo nello sconforto, ma rischia anche di far perdere ogni tipo di fiducia nella giustizia e nel lavoro della Polizia.

La deposizione degli agenti della Scientifica, infatti, non è una novità, allora per quale motivo si è atteso oltre 20 anni per renderla nota? E perché non si è intervenuti subito, quando ancora quelle persone erano dentro con la Scientifica alla porta? Che cosa si voleva coprire e chi erano quelle persone che, intervenendo prima della Scientifica, hanno sicuramente inquinato la scena del fatto? Sono domande che non possono essere derubricate a esercizio retorico, ma che vanno approfondite e andavano approfondite già allora. Immaginate la scena: gli agenti della Scientifica in tuta bianca e mascherina, che attendono fuori dalla porta che esca qualcuno che è dentro per disposizioni dall’alto, dunque dei loro superiori; loro che attendono, poi la porta che si apre, le persone ignote che escono e la Scientifica che ringrazia perché finalmente può fare il suo lavoro.

Sono scene mai viste, neanche nei B-movie polizieschi di Tomas Milian o nelle gesta del commissario Auricchio di Fracchia la Belva umana. Mai viste, ma evidentemente capitate nella notte del 14 febbraio 2004 in quel tragico giorno in cui, a Rimini, Marco Pantani lasciò in condizioni pietose e miserabili il mondo che aveva scalato da trionfatore. Urge chiarezza, a questo punto, dai superiori di quegli agenti. Lo esige la memoria di Pantani, portata avanti tenacemente da mamma Tonina e lo esige anche un popolo, quello italiano, che è stanco di alimentare artificialmente i sospetti che ci siano servitori dello Stato capaci di deviare il corso degli eventi.