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LUOGHI COMUNI

Ricchi e poveri, la realtà contro gli slogan

Negli ultimi 25 anni si è abbassata drasticamente la percentuale di popolazione mondiale che vive in povertà estrema (dal 50 al 10%). Eppure continua ad avere fortuna tra i preti la convinzione che i poveri siano sempre più poveri, e a causa dei ricchi, argomento che sfida anche la logica.

Economia 14_03_2016
Bambino di un paese povero

Uno slogan di grande fortuna perché di grande impatto emotivo recita: «Il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% delle ricchezze». È di solito accompagnato da quest’altro: «I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri». Come tutti gli slogan di origine comunista ha grande fortuna presso i preti, perché sembra evangelico. Anche le eresie sembrano evangeliche, da qui il loro successo, di volta in volta, nella storia. Ma non sono evangeliche, perché manca loro il fondamentale requisito della verità. Cioè, sono balle.

La resistenza, nella mente di chi ci crede, alle cifre che dimostrano il contrario è perciò frutto di psicologie non umili (per dire il meno). Gli slogan permettono di sentirsi dei «buoni» che puntano il dito contro i «cattivi», occupazione che, per i frequentatori dei c.d. centri sociali (mera autodefinizione, in realtà sono covi di anarchici) dà senso a un’esistenza che altrimenti non ne avrebbe alcuno. Per certo clero giovane è una sirena fortissima, in quanto consente di consacrarsi alle «virtù attive» a tutto discapito di quelle «passive». Per i digiuni di teologia, traduco: agitarsi di più e pregare di meno, fino a convincersi che una marcia di protesta e/o solidarietà valga, agli occhi di Dio, più di cento ore di adorazione in ginocchio.

E veniamo ai numeri, sia pur convinti che non ci sia peggior sordo di chi non vuol sentire: ancora nel 1990 metà della popolazione mondiale viveva con meno di due dollari al giorno; nel 2015 quel cinquanta era sceso al dieci (fonte la Banca Mondiale) e ancora scenderà fino a sparire in breve tempo. Esageriamo? Nel periodo considerato, in Cina la povertà estrema è calata dal 61 al 4%. Ma queste sono cifre, che non servono a niente con chi ragiona (si fa per dire) a colpi di slogan. Sì, perché lo slogan (dal tedesco schlagen, battere, martellare) è un concetto preconfezionato e ridotto in pillole, facile da memorizzare ed assorbire: consente alle menti semplici (e superbe) di credere di aver capito tutto senza bisogno di studiare.

Infatti, la logica (termine che non a caso viene da Logos: sì, proprio quello di san Giovanni evangelista) richiede esercizio, e l’esercizio è fatica. Invitare il pre-logico a guardare le cifre prima di parlare è inutile, perché in lui scatta l’allarme del manzoniano, e ignorante, Renzo di fronte a chi lo vuol fregare col «latinorum».

Ora, per tornare agli slogan di cui dicevamo all’inizio, essi partono da una premessa non detta ma sbagliata: si dà per scontato che la ricchezza mondiale sia una torta precotta, della quale se uno se ne prende mezza agli altri toccano le briciole. Pochi accaparrano troppo, insomma, perciò il problema è l’iniqua distribuzione. C’è una scena famosa de Il dottor Zivago in cui il protagonista torna e trova la sua casa in mano ai bolscevichi: un palazzo di due piani con molte stanze adesso alloggiava centinaia di persone. È la giustificazione che gli viene fornita. Prima ci stava (bene) una sola famiglia, ora ce ne stanno (male) tantissime. Bolscevismo, appunto. Non è giusto che ci siano i ricchi, meglio tutti poveri. Ma questa è ideologia (dell’invidia) nata senza occhi, non economia (Marx, infatti, era un filosofo che si considerava un economista).

Qualunque studente di ragioneria sa che a un ricco (un capitalista, nell’ideologia) non conviene affatto che tutti gli altri siano poveri. Un potente fabbricante di qualunque cosa non può vendere a chi non ha denaro per comprare. Un produttore di semplici asciugacapelli, per esempio, non può contare su acquirenti che non abbiano nemmeno l’elettricità in casa, e non parliamo della cultura necessaria a portare la chioma acconciata.

Perfino nei Paesi di rigida osservanza islamica come l’Arabia Saudita il reddito pro-capite disponibile è perciò alto, e le abissali differenze tra nababbi e cammellieri sono dovute all’ideologia, appunto, in questo caso religiosa. Quando Saddam invase il Kuwait i tiggì mostravano scene strazianti di kuwaitiani che fuggivano, le donne in chador, gli uomini in kefiah, al volante di Volvo che un occidentale medio non avrebbe potuto permettersi. E, oggi, un amico che lavora nel Bahrein mi parla di condizionatori d’aria «da aperto», che refrigerano la gente nei bar mentre la temperatura tocca i cinquanta gradi.

L’uomo più ricco del mondo vende computer, roba che non costa affatto poco; ed è suo interesse (materiale) che ce ne sia (almeno) uno in ogni casa del pianeta. Ma contro gli slogan non valet argumentum, perché gli anarchici avrebbero come alternativa il lavoro ai mercati e i preti l’umile ascesi.