Revocata la licenza di ricevere fondi stranieri al centro dei gesuiti di New Delhi
L’Indian social institute dei gesuiti come molti altri enti dipende in parte da finanziamenti stranieri per svolgere le proprie attività
Ai nazionalisti indù i cristiani che svolgono attività sociali in India danno fastidio principalmente per due motivi: perché li mettono in buona luce presso la popolazione e perchè, offrendo indiscriminatamente aiuto a tutti, violano le regole del sistema delle caste indù. Un modo per ostacolarli è privarli del denaro necessario. Molti istituti cristiani dipendono in parte e in certi casi del tutto da fondi stranieri. Negare l’autorizzazione a riceverli li costringe a ridurre o interrompere le attività. Per ricevere contributi stranieri una associazione deve essere autorizzata, disporre cioè di una licenza che deve essere rinnovata ogni cinque anni, secondo quanto previsto dal Foreign Contribution Regulation Act (FCRA). L’obiettivo è evitare un uso improprio del denaro e il dirottamento di fondi esteri, ma, soprattutto dal 2020 quando la legge è stata modificata, la concessione della licenza sempre più spesso viene invece usata dal governo come strumento per controllare e colpire le associazioni non gradite. Da allora sono state centinaia le associazioni prese di mira, tra cui molti enti cattolici. Fece clamore nel dicembre del 2021 la decisione di revocare la licenza alle Missionarie della Carità di Madre Teresa. Talmente tante furono le reazioni indignate che qualche settimana l’autorizzazione a ricevere fondi fu però ripristinata. Adesso è toccato all’Indian social institute (ISI) di New Delhi, un importante centro di ricerca fondato nel 1951 dai gesuiti con la missione di contribuire allo sviluppo del paese da poco diventato indipendente. “L’istituto non è mai stato coinvolto in attività di evangelizzazione, si è sempre e solo occupato di riceva sociale. In passato avevamo fino a sei dipartimenti, ora ne è rimasto solo uno” aveva spiegato all’agenzia di stampa AsiaNews il direttore dell’ISI, padre Sebarti L. Raj, lo scorso luglio quando l’istituto era stato per la prima volta indagato. Nel numero di giugno, la sua rivista aveva parlato dei conflitti interni del paese e a tal proposito gli autori di un articolo avevano commentato: “la spinta ideologica alla supremazia indù in India, ispirata da un modello intollerante di nazionalismo religioso, comunemente noto come Hindutva, ha portato a una violenza diffusa contro le comunità e le minoranze emarginate in tutto il paese”. L’analisi peraltro del tutto fondata dell’ISI deve aver irritato il partito nazionalista al governo, il Bjp, che si ispira proprio all’Hindutva. La reazione è arrivata in questi giorni con la revoca della licenza.