AFRICA
Resa dell'Occidente a pirati e zanzare
Le politiche di Ue, Onu e Nato, invece di risolvere il problema, puntano oggi al suo contenimento. Con risultati disastrosi per africani e armatori.
Attualità
28_10_2011
C’è stato un tempo, non lontano, in cui la malaria si sconfiggeva con grandi opere di bonifica e disinfestazione e in cui la pirateria si combatteva con successo attaccando le navi e le “tortuga” dei pirati.
Ma adesso che si tratta di affrontare gli stessi problemi, ad esempio in Africa, a questi metodi risolutivi se ne preferiscono altri, di mero contenimento.
I pirati del Golfo di Aden si sarebbero potuti sgominare colpendo (cosa ormai complicata dalla presenza di ostaggi) le loro basi a terra, nel nord della Somalia, e le loro navi-madre al largo, da cui dipendono le piccole imbarcazioni con cui vanno all’arrembaggio. Invece sono state istituite una missione dell’Unione Europea, la “Atalanta”, operativa dal 2008, e una missione NATO, la “Ocean Shield”, attiva dal 2009, entrambe con solo l’incarico di proteggere le navi in transito tra Mar Rosso, Golfo di Aden e Oceano Indiano. Il buon esito di alcuni interventi, come quello NATO che ha liberato in poche ore la nave italiana Montecristo, catturata lo scorso 10 ottobre mentre si trovava a 620 miglia delle coste somale, non scoraggia i pirati che, anzi, negli ultimi mesi sono diventati più aggressivi. Nelle loro mani si trovano attualmente decine di navi, due delle quali italiane. Quelle già restituite hanno fruttato riscatti milionari in parte investiti in beni all’estero.
Ai riscatti, per gli armatori si aggiungono gli oneri dei premi assicurativi aumentati in maniera astronomica e quelli delle lunghe rotte alternative a cui si vedono costretti per evitare problemi. Inoltre tra i costi della pirateria somala vanno calcolate le spese relative alle due missioni di pattugliamento – per la “Atalanta”, ad esempio, si spendono circa 100.000 euro al giorno per ogni nave impiegata – e, prima ancora, i danni patiti dagli equipaggi: le perdite di vite umane durante gli arrembaggi e la detenzione per settimane e mesi dei marinai sequestrati, in condizioni di estremo disagio che ne mettono in pericolo la sopravvivenza.
È del 25 ottobre l’ultimo, disperato appello della Savina Caylyn, la petroliera italiana della società armatrice Fratelli D’Amato sequestrata l’8 febbraio. I membri dell’equipaggio da quasi nove mesi dormono per terra, esposti notte e giorno al clima terribilmente umido e, se portati alle tortuga come scudi umani in caso di eventuali blitz, vengono tenuti legati mani e piedi. Alcuni non sopravviveranno ancora a lungo agli stenti. Tra i prigionieri ci sono casi di tubercolosi.
Ma i danni causati dai pirati somali sono poca cosa al confronto con quelli provocati dalla malaria. In Africa la malattia colpisce ogni anno decine di milioni di persone e ne uccide centinaia di migliaia: un bambino ogni 30 secondi, in tutto più di 660.000 persone nel 2009, secondo dati dell’OMS presentati il 18 ottobre a un convegno scientifico svoltosi a Seattle, USA. Ogni anno l’epidemia è inoltre responsabile di perdite economiche incalcolabili in giorni di lavoro mancati, farmaci e cure mediche. Benché sia noto che per debellare la malaria, causata dalla puntura di zanzare infette, occorra bonificare e disinfestare le regioni colpite, in Africa si è scelto invece di puntare sulla protezione, investendo miliardi di dollari in zanzariere da letto trattate con insetticidi e in insetticidi spray per uso personale e domestico. “L’unica prevenzione possibile è di tipo “meccanico”: la zanzariera. Far arrivare le zanzariere ovunque, questa è la vera sfida dei prossimi anni” proclamava il Programma malaria dell’Unicef alla fine del 2009 e Roll back malaria, la partnership nata nel 1998 per coordinare a livello mondiale le iniziative volte a combattere questa malattia, annunciava di volerne distribuire almeno 700 milioni entro la fine del 2010 e di prepararsi a dotare di insetticidi spray almeno 200 milioni di famiglie entro lo stesso termine. Per realizzare la “copertura” universale si stimava un costo di 5,3 miliardi di dollari per il 2009, 6,2 per il 2010, altri 5 miliardi di dollari tra il 2011 e il 2020.
Dei risultati ci sono stati. In alcuni paesi, ad esempio in Botswana e Sudafrica, il numero di decessi è sceso anche del 20% rispetto agli anni 90: ma si tratta di progressi troppo lenti e per di più non definitivi, se nel frattempo non si è provveduto a togliere alle zanzare l’habitat e a sterminarle con disinfestazioni radicali. Lo conferma la recrudescenza della malattia in paesi come il Rwanda e lo Zambia in cui si erano registrati dei passi avanti.
Nessuno pensa che le missioni NATO e UE possano eliminare i pirati nel golfo di Aden. L’aggravante ulteriore, nel caso della lotta alla malaria in Africa, è che invece zanzariere e spray si intendono come essenziali e sufficienti. Due anni fa Ann Veneman, direttore generale dell’Unicef, annunciava trionfalmente: “Siamo pronti, per la prima volta nella storia, a rendere la malaria una causa rara di mortalità e malattia: la malaria ha i giorni contati”. Da allora in Africa di malaria sono morte quasi un milione e mezzo di persone che si sarebbero potute salvare, insieme a milioni di altre prima di loro, se si fosse deciso di concentrare gli sforzi su bonifica e disinfestazione.
Quelli contro i pirati e la malaria non sono i soli interventi internazionali inconcludenti. Per questo sono un campanello d’allarme. È come se nell’epoca in cui l’umanità, o almeno quella parte del mondo che chiamiamo “Occidente”, ha acquisito mezzi mai neanche immaginati in passato per affrontare le difficoltà, si assistesse invece a una sorta di resa, di adattamento e di inerzia, non per mancanza di risorse, ma piuttosto di convinzione e consenso, per effetto forse di una sorta di demoralizzazione diffusa.
Che qualcosa stia cambiando in Occidente, e non in meglio, è un timore che nei giorni scorsi ha trovato una terribile, inaspettata conferma anche nella riproduzione impietosa, reiterata, a tutte le ore del giorno, dei filmati e delle immagini del linciaggio del colonnello Muhammar Gheddafi: senza compassione, a prescindere dalle sue colpe, per l’uomo terrorizzato e solo in quegli ultimi istanti (che ne è di “nessuno tocchi Caino”?) e senza riguardo per la sua famiglia, poiché il rais era anche un marito, un padre, un nonno.
In Liberia, nel settembre del 1990, mentre infuriava la guerra civile, il presidente Samuel Doe venne catturato nella capitale Monrovia dall’avversario Prince Johnson. Fu poi torturato per molte ore prima di venire ucciso. Johnson ordinò che si registrasse un video delle torture e dell’omicidio che in seguito fu riprodotto e diffuso, mostrando tra l’altro lo stesso Johnson intento a bere una birra mentre i suoi uomini tagliavano un orecchio di Doe ancora vivo. Ben più raccapricciante del fatto in sé, fu sapere che quel video circolava in Africa Occidentale, guardato in casa, magari dopo una cena con ospiti. Si disse allora: è una barbarie, mai potrebbe succedere una cosa simile in Italia.