Renzi tira la corda. Sperando che si spezzi
Con la proposta di riforma del Senato, Matteo Renzi gioca d'azzardo e rischia di perdere l'appoggio del suo stesso Pd. E Berlusconi, sua stampella politica, finirà presto fuori dai giochi. Dunque? Il premier punta a una nuova legislatura.
La riforma del Senato potrebbe far abortire il patto Renzi-Berlusconi, spaccare il Pd e provocare la fine anticipata della legislatura. Il premier ormai ne fa una questione di principio e lega addirittura il suo futuro politico all’approvazione di una riforma epocale come quella dell’abolizione di una delle due Camere elettive. Nel merito, le riserve rispetto al testo presentato dal governo sono molteplici e arrivano da più parti, anche da 22 senatori del Pd, che si accingono a presentare un disegno di legge “salva Senato”, basato sul superamento del bicameralismo perfetto (due Camere che approvano le stesse leggi) e sulla riduzione del numero dei componenti di ciascuna Camera, ma anche sulla permanenza del carattere elettivo dell’assemblea di Palazzo Madama.
Lo scontro si prevede aspro, anche perché, se si eccettuano le rassicurazioni dell’ex premier nonché senatore a vita, Mario Monti (“Aiuteremo Renzi a non andare a sbattere”) e del partito di Alfano, terrorizzato dalla prospettiva di non raggiungere lo sbarramento del 4% alle prossime elezioni europee, serpeggia un forte scetticismo circa le possibilità che l’inquilino di Palazzo Chigi riesca nel suo intento di passare alla storia come il primo vero riformatore dello Stato.
Renzi sta tirando la corda, minacciando ad ogni piè sospinto di abbandonare il suo ruolo e di lasciare il Paese privo di una guida politica, ma sa bene che gli ostacoli sul suo cammino non sono pochi. Continuare a minacciare la crisi potrebbe essere per lui un’arma a doppio taglio. Lo sta facendo in materia di economia e lavoro, snobbando il metodo della concertazione con Confindustria e sindacati, ma anche sul versante politico, sfidando i dissidenti del suo partito ad uscire allo scoperto qualora dissentissero dall’impianto riformatore messo in piedi in questi mesi.
La verità è che il premier al momento sembra più solido all’estero che non in Italia. Tutti i leader europei lo stanno applaudendo e incoraggiando ad andare avanti. Le sue ricette appaiono persuasive agli occhi degli osservatori internazionali, che stanno accordando all’ex sindaco di Firenze non banali aperture di credito.
In ambito nazionale, invece, le insidie per il Presidente del Consiglio sono evidenti. Lui si rende conto di non poter contare su una squadra coesa e di persone fidate e non esclude che possa prima o poi arrivare il momento di far saltare il tavolo, quest’anno o al massimo agli inizi del 2015, per andare alle urne, forte dei risultati conseguiti e del prestigio che saprà raccogliere durante il semestre europeo di presidenza italiana. Renzi vorrebbe andare all’incasso raccogliendo i voti della maggioranza degli italiani per avere una legittimazione popolare forte e non dover scendere a compromessi come ha dovuto fare in occasione della formazione dell’attuale governo. Se svanisse il sogno delle riforme, il premier avrebbe buon gioco nel presentarsi all’elettorato lamentando l’impossibilità di realizzare i traguardi promessi (e prospettati addirittura con scadenze precise), a causa delle resistenze conservatrici e corporative delle quali ha già parlato nei suoi ultimi interventi.
La polemica con il Presidente del Senato Grasso, che è peraltro dello stesso partito di Renzi, la dice lunga sulla mancanza di compattezza nel fronte che sostiene l’attuale esecutivo. E il 10 aprile potrebbe spezzarsi anche il filo che lega Renzi al suo più fedele alleato di questi mesi, cioè Silvio Berlusconi. Se l’ex Cavaliere venisse condannato agli arresti domiciliari, la sua agibilità e la sua visibilità politiche si azzererebbero e Forza Italia potrebbe sfilarsi dal tavolo delle riforme, ingaggiando la battaglia finale contro la giustizia. Su quel terreno Renzi non potrebbe seguire i berlusconiani, altrimenti lascerebbe campo libero ai grillini sul versante della lotta alla legalità e alla corruzione.
Senza l’”alleato” Berlusconi, il premier non avrebbe la possibilità di condurre in porto le riforme annunciate e che richiedono un’ampia maggioranza parlamentare e tempi lunghi legati al processo di revisione costituzionale. A quel punto, il governo Renzi somiglierebbe sempre di più al governo Letta, paralizzato dal gioco dei veti incrociati e incapace di fare scelte coraggiose. Vivacchiare non servirebbe a nessuno e anche un tenace difensore dello status quo come Giorgio Napolitano dovrebbe prendere atto dell’impossibilità di far proseguire la legislatura.
Renzi sa bene che la sua vera scommessa può giocarsela soltanto in una legislatura nuova, che nasca da un suo perentorio e convincente successo elettorale. Solo in quello scenario potrebbe avere gruppi parlamentari a lui fedeli e un esecutivo con suoi uomini nei ministeri chiave, senza rischi di imboscate o di boicottaggi o di inciuci più o meno obbligati.
Per ora ostenta sicurezza e dice di volersi proiettare fino al 2018 con l’azione del suo governo. Ma se dalle urne europee del 25 maggio uscisse vittorioso il Movimento Cinque Stelle con una contestuale flessione di Forza Italia e se il centrodestra di Alfano, seconda forza di governo, non raggiungesse la soglia del 4% e non conquistasse suoi parlamentari, diventerebbe davvero arduo preservare gli attuali precari equilibri.