Renzi prova a giocare anche la carta tedesca
Sempre più isolato all'interno della sinistra, Matteo Renzi prova a giocare la sua ultima carta: proporre un sistema elettorale proporzionale alla tedesca (cioè con uno sbarramento del 5% all'ingresso per falcidiare i partiti minori). Il suo obiettivo è quello di far mancare il premio di maggioranza al M5S e formare una grande coalizione.
L’ultima carta di Matteo Renzi arriva dalla Germania e si chiama sistema elettorale proporzionale personalizzato. Già, perché dopo aver scartato il Mattarellum, il Legalicum e forse anche il Provincellum, ora il neoeletto segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi sembra puntare – almeno a parole – sul sistema tedesco, che ha fra le sue caratteristiche principali una soglia di sbarramento che darebbe filo da torcere ai cosiddetti “partitini”, lasciando campo libero alle forze politiche principali.
Ma a chi gioverebbe, davvero, questo sistema di voto alla tedesca? Esso si basato su un sistema proporzionale ma misto, simile al compianto Mattarellum che ora nessuno vuole più (a parte il Pd). In Germania la metà dei componenti del Bundestag è eletta con collegi uninominali, l’altra metà sulla base di un proporzionale con sbarramento al 5%.
Solo qualche mese fa, rumor politici davano per certo che proprio un sistema “simil-tedesco” fosse stato proposto da Denis Verdini, “l’uomo del Nazareno”, in un ultimo estremo tentativo di intesa fra renziani e berlusconiani. Solo una coincidenza? Chi lo sa.
Di sicuro, l’effetto che questo continuo oscillare fra un sistema elettorale e l’altro provoca è il regolare slittamento di ogni decisione in materia. E considerando che l’ex Presidente del Consiglio sta fremendo per andare alle urne, possibilmente in autunno, non è poi così assurdo pensare che in fondo a Matteo Renzi la legge elettorale possa andare bene così com’è. Perché gli consentirebbe di escludere i Cinque Stelle dal governo – anche in caso di loro vittoria – e di tentare alleanze proprio con Berlusconi. Con l’attuale sistema, infatti, i pentastellati ben difficilmente raggiungerebbero la fatidica soglia del 40%, che farebbe scattare il premio di maggioranza, e quindi dovrebbero cercare alleati (gli scissionisti Pd e la sinistra radicale oppure, sull’altro versante, i leghisti). E non è detto che li trovino. Invece, il neoeletto segretario Pd avrebbe le mani libere prima del voto e potrebbe giocare, a urne chiuse, la carta della grande coalizione, Quirinale permettendo.
Non si capirebbero altrimenti le mosse del Pd, che, mentre si dice pronto a concordare le correzioni su un modello a trazione maggioritaria come l’Italicum, al tempo stesso estrae dal cilindro la carta del modello a trazione proporzionale (sistema tedesco). Questo potrebbe quindi essere, per Renzi, un tentativo di prendere tempo, affinché la riforma elettorale non venga incardinata nell’agenda parlamentare prima che si arrivi a un accordo gestito in prima persona da lui. Il suo timore sarebbe, infatti, quello di restare ingabbiato nelle procedure parlamentari, che gli legherebbero le mani e gli toglierebbero anche quelle residue speranze di andare al voto anticipato in autunno, pur con l’ostilità di Mattarella.
Le nottate di Matteo Renzi rischiano, però, di essere inquiete anche per altri motivi. Pesanti scricchiolii si avvertono, infatti, sul fronte del Nord, dove le imminenti elezioni amministrative di Genova non promettono nulla di buono. Dopo la rovinosa sconfitta del Pd l’anno scorso a Torino e a Roma, la perdita del “fortino” Genova – città che vanta una profonda tradizione di centrosinistra – per l’ex Presidente del Consiglio sarebbe un’ulteriore umiliazione.
Anche perché i dati, finora, non sono positivi. Se infatti Renzi è uscito vincitore dalle circoscrizioni delle primarie del capoluogo ligure con il 65,68% dei voti, non si può far a meno di constatare che in quattro anni (tra il 2013 e il 2017) i votanti alle primarie del Pd a Genova si sono quasi dimezzati. Sono stati 16.245 in queste ultime primarie, mentre erano stati 20.089 nel 2013. Ad andare sotto – hanno spiegato gli addetti ai lavori - sono stati in particolare i quartieri tradizionalmente rossi, quelli nei quali il centrosinistra, fino a non molti anni fa, spopolava. Per capire la portata del fenomeno basta fare un esempio: a Pegli solo quattro anni fa – nella disputa tra Cuperlo, Renzi e Civati - votarono in 1.590. Domenica scorsa, solo 946. Insomma: gli elettori del Partito Democratico, sempre più stanchi e disillusi, sono in fuga.
Aria di insofferenza si respira anche a Milano. E pensare che si tratta dell’unica città che ha “salvato” Matteo Renzi con l’elezione di Giuseppe Sala, un anno fa. Però negli ultimi tempi i rapporti fra il primo cittadino e Renzi sono freddissimi. Gli incontri ufficiali fra i due sono stati accuratamente evitati e – ciliegina sulla torta – il primo cittadino ha evitato di pronunciare un pubblico endorsement in occasione delle primarie del Pd, domenica scorsa, mantenendo ben riservato il suo voto.
Invece un ex sindaco, Giuliano Pisapia, ha espresso pubblicamente il suo dissenso con l’attuale dirigenza del Pd e ha difeso gli scissionisti, sdoganando l’idea di un centrosinistra alternativo al partito di Matteo Renzi: "Voglio tentarci fino alla fine, però non è accettabile che sia posto un veto sulle persone, né su D’Alema né su Bersani. Un veto è accettabile solo sulle cose da fare - ha spiegato - Io voglio riformare un centrosinistra unito com’era l’Ulivo. Se questo non è possibile, allora faremo un centrosinistra alternativo fuori dal Pd". Insomma, una bella gatta da pelare per il neosegretario dem, che guarda con apprensione anche alla Sicilia, regione destinata a finire, secondo molti sondaggi, nelle mani dei Cinque Stelle dopo la deludente esperienza della giunta Crocetta, ormai agli sgoccioli.