Renzi o Letta? Nessuno difende i principi non negoziabili
Renzi o Letta? Non è questa la contrapposizione che conta. Da un punto di vista cattolico ci si deve piuttosto chiedere quale leader, all'interno del Partito Democratico, difenda i principi non negoziabili. Una prima risposta è: nessuno.
La cavalcata di Matteo Renzi verso l’incoronazione a segretario nazionale del Pd appare inarrestabile. La base sembra galvanizzata dal furore iconoclasta del sindaco di Firenze che lancia proclami a effetto: rottamare le correnti, restituire il partito alla base, ridare speranza ai giovani, pensare al lavoro e non al giaguaro.
Ma la “discesa in campo” del sindaco battagliero sta provocando uno “tsunami” nella geografia correntizia del Partito democratico, una forza politica nella quale le anime ex comunista ed ex popolare non si sono mai mescolate fino in fondo.
L’ultimo endorsement è quello di due ex popolari come Franceschini e Fioroni, che hanno dichiarato di voler appoggiare Renzi nella corsa alla segreteria. Per ora il loro referente storico Franco Marini tace, anche perché ha il dente avvelenato con il sindaco di Firenze, che di fatto gli bruciò la corsa al Quirinale alcuni mesi fa. I dalemiani puntano su Cuperlo, i bersaniani potrebbero convergere su quest’ultimo, mentre Bindi e Finocchiaro stanno alla finestra.
La lotta tra bande entra nel vivo ma la vera contrapposizione è tra Renzi e il premier Enrico Letta. Non è tanto una contrapposizione personalistica, bensì una faida tra poteri economico-finanziari che si contenderanno la supremazia nell’arcipelago degli interessi facenti capo da sempre alla sinistra.
Franceschini, che è ministro del governo Letta, per ammantare di spirito costruttivo il suo schierarsi opportunistico con Renzi ha sentenziato che entrambi sono fuoriclasse e che uno sarebbe il segretario ideale l’altro è il capo di governo migliore. Siamo sicuri che Renzi si accontenti di conquistare il partito senza poi usarlo come rampa di lancio per Palazzo Chigi e, un minuto dopo essere diventato segretario, non faccia di tutto per far cadere il governo Letta, ammesso che nel frattempo duri?
Letta punta a durare per poter diventare, fra qualche anno, il candidato premier di tutto lo schieramento di centro-sinistra. Renzi l’ha capito e non ci sta. Per ora lancia l’Opa sul partito, ma domani, da una posizione di forza, sferrerebbe l’attacco alla Presidenza del Consiglio.
Tra i due, chi potrebbe meglio rappresentare, nel centro-sinistra, le idee cattoliche e dimostrarsi maggiormente tetragono agli attacchi laicisti contro la famiglia naturale e gli altri principi non negoziabili? Finora Renzi, pur avendo una moglie assai attiva nell’ambito del movimentismo ecclesiale, non ha preso posizioni nette su questi punti. Alle primarie perse contro Bersani i suoi punti di vista sulle coppie di fatto sembravano sovrapporsi a quelli del suo rivale. Oggi, i suoi probabili compagni di viaggio lungo il sentiero di un’ipotetica investitura come candidato premier di tutto il centro-sinistra sono acerrimi nemici dei principi non negoziabili. Basti pensare a Niki Vendola, messo in un angolo nell’attuale scenario politico, e pronto a rilanciarsi in una futura alleanza con Renzi (c’è chi dice che Sel possa addirittura sciogliersi in un Pd guidato dal sindaco di Firenze). E poi ci sono alcuni spezzoni consistenti dei cosiddetti poteri forti, finanziari ed editoriali, che non fanno mistero di preferire Renzi a Letta. Basta sfogliare tutti i giorni il quotidiano “La Repubblica” per rendersi conto del tifo che il suo editore De Benedetti fa per il rampante non ancora quarantenne. E Renzi, nei giorni scorsi, si è mostrato assai lusingato da quest’appoggio, se è vero che ha lanciato strali al cianuro contro il quotidiano rivale, “Il Corriere della Sera”, per il modo imbarazzato in cui ha dato conto delle vicende giudiziarie riguardanti Salvatore Ligresti.
E invece il quotidiano di via Solferino e i suoi principali azionisti (Intesa Sanpaolo, Fiat, Mediobanca, Ubi Banca e la finanza cattolica) sembrano tutti allineati e coperti in difesa dell’attuale premier perché non vedono di buon occhio l’ascesa repentina di Renzi.
Forse da questi poteri c’è da aspettarsi una maggiore sensibilità verso i principi non negoziabili? Ne dubitiamo fortemente, ma almeno la speranza esiste, soprattutto perché la corrente di Letta è certamente la più dialogante, all’interno del Pd, con i centristi di Monti, Casini e del Pdl.
La verità è che il Pd rischia, paradossalmente, di morire di “berlusconismo”, cioè di cedere a quel modello plebiscitario pro-Renzi tanto biasimato e ritenuto la cifra antidemocratica del centro-destra. I rappresentanti di quel partito dovrebbero, però, anziché schierarsi a priori per Renzi o per Letta, chiedere garanzie precise sul rispetto della famiglia naturale, sulla tutela della vita fin dal suo concepimento e sulla difesa della libertà educativa. Hanno deciso di militare nel centro-sinistra, ignorando una evidente incompatibilità tra i programmi elettorali di quella parte politica e i contenuti della Dottrina sociale della Chiesa. Ora sono chiamati a dimostrare che è possibile testimoniare quei principi anche facendo politica nel Pd.
Nel dibattito odierno sui temi “sensibili” come il femminicidio e l’omofobia, che hanno guadagnato corsie preferenziali nelle aule parlamentari, i cattolici brillano per assenza e reticenza. Sembra quasi che abbiano abdicato a qualsiasi battaglia sui principi, mostrano uno “sconfittismo” amorfo e senz’anima, rinunciano perfino ad alzare la mano, quasi affetti dalla sindrome dello scolaretto che ha paura di dire la sua in classe per evitare di essere deriso dai suoi compagni. Eppure in alcune delle leggi in discussione nelle aule parlamentari è in gioco il futuro di valori importanti, di un modello educativo pluralista che i Padri Costituenti hanno tradotto nella nostra Carta fondamentale e che taluni vorrebbero cancellare con un “colpo di spugna”, in nome di un progressismo illuminista che ha lavorato per decenni nelle scuole, nelle università, nel mondo della cultura e delle arti per imporre una sorta di “pensiero unico”.
Nel timore di passare per integralisti e bigotti, molti cattolici in politica si stanno autocensurando, facendo il gioco di potenti lobby che minano a scardinare gli istituti fondamentali e gli architravi della società, quali il matrimonio naturale e la famiglia. Contro queste minacce i cattolici di tutti gli schieramenti, dopo l’eclissi dell’unità politica incarnata dalla Democrazia Cristiana, avrebbero dovuto fare fronte comune e, anche rimanendo nei rispettivi schieramenti, si sarebbero dovuti adoperare per fermare veri e propri attentati alla vita, alla famiglia, ai valori fondanti una società equilibrata e pluralista. E invece, in nome di un paralizzante concetto di laicità, vissuto come insuperabile incomunicabilità tra il religioso e il temporale, hanno rinunciato a proporre, nella società e nelle istituzioni, la loro visione del mondo, a confrontarla con convinzione con le altre e a testimoniarla con comportamenti conseguenti.
Oggi, mentre nel centro-destra sembra aprirsi timidamente la prospettiva post-berlusconiana, è importante che i cattolici di centro-sinistra, prima di dirsi renziani o lettiani, si dicano… cattolici.