Renzi caterpillar. Per i ribelli Pd non c'è scampo
Iniziate a Palazzo Madama le votazioni sul disegno di legge Boschi. La riforma del Senato dovrebbe ottenere il via libera dell’assemblea il 13 ottobre e approdare alla Camera dei deputati per una nuova approvazione, la quarta. Ma questa road map potrebbe essere sconvolta dai dissidenti del Pd che si giocano tutto.
Sono iniziate a Palazzo Madama le votazioni sul disegno di legge Boschi. La riforma del Senato, nelle intenzioni della maggioranza e del presidente Pietro Grasso, dovrebbe ottenere il via libera dell’assemblea il 13 ottobre e approdare alla Camera dei deputati per una nuova approvazione, la quarta. Se venisse rispettata quella scadenza, nella prossima primavera sarebbe possibile indire un referendum confermativo (da abbinare, probabilmente, alle elezioni amministrative di Milano, Napoli, Torino, Bologna e altre città) per chiamare gli italiani a pronunciarsi sulla storica riforma del bicameralismo perfetto. Quella consultazione popolare si tramuterebbe in una sorta di voto a favore o contro il governo, ed è proprio ciò che desidera intimamente il premier, cioè personalizzare la sfida.
Ma questa “road map” potrebbe subire o no battute d’arresto? Non è escluso, considerato che quasi 400.000 emendamenti restano in piedi e resistono alla scure del presidente del Senato e che il voto su alcuni punti del provvedimento potrebbe avvenire a scrutinio segreto, con il rischio concreto di imboscate. In caso di intoppi improvvisi, l’approvazione della riforma del Senato slitterebbe almeno di alcune settimane, il che pregiudicherebbe lo svolgimento del referendum in primavera. A metà ottobre, infatti, la discussione sul ddl Boschi verrebbe sospesa perché scocca l’improrogabile ora “x” della Legge di stabilità. E l’intento (disperato) dei dissidenti dem è proprio questo: far slittare, con tattiche dilatorie, l’approvazione a Palazzo Madama della riforma del Senato per impedire al premier di cantare vittoria e per continuare a condizionarne l’azione politica. Sanno bene Bersani, Cuperlo, Speranza, Gotor e i loro sodali che un Renzi galvanizzato da un successo del genere potrebbe dettare le condizioni anche sul resto.
Il dilemma della minoranza Pd è atroce: appoggiare compattamente (e a malincuore) le riforme costituzionali, pur di non rendere determinanti i voti di Verdini, oppure ostacolare fino in fondo i progetti di Palazzo Chigi e denunciare i trasformismi di quanti, per puro istinto di sopravvivenza, pur essendo stati eletti nelle file dell’opposizione, si stanno dichiarando disponibili a sostenere la linea del governo in Parlamento. Nel frattempo, tra viaggi internazionali, continue legittimazioni da parte di leader europei ed extraeuropei e dati incoraggianti sulla ripresa economica e occupazionale, il presidente del Consiglio sembra veleggiare col vento in poppa. É per questo che la sinistra ideologica teme di essere confinata nel recinto dell’irrilevanza politica e punta ad aprire nuovi fronti di scontro con Palazzo Chigi. Di qui l’esplosione delle polemiche su Rai3 e la sua presunta linea anti-renziana.
Gli uomini Rai vicini alla vecchia guardia del Pd temono di essere scalzati dalla rottamazione in corso nella Tv di Stato e provocano il premier dando spazio eccessivo ad esponenti grillini, proprio mentre Renzi auspica una Rai più filogovernativa e incline a raccontare i successi italiani e a documentare l’inversione di tendenza che, a suo dire, si registrerebbe nel nostro Paese dopo anni di stallo. La Tv pubblica è da sempre lo specchio delle divisioni politiche, ma rispetto al passato questo “muro contro muro” evidenzia che ormai dentro il Pd ci sono due partiti che si fronteggiano, laddove in passato il braccio di ferro era tra la sinistra, che aveva e ha la sua roccaforte nella terza rete Rai e il centrodestra berlusconiano.
Le lacerazioni all’interno della sinistra sono peraltro destinate a riprodursi nelle discussioni sulla legge di stabilità. Lì il premier potrebbe dormire sonni tranquilli, considerato che quel provvedimento conterrà tante misure assai gradite all’elettorato tradizionalmente vicino al centrodestra, dall’abolizione della tassa sulla prima casa alla cancellazione di altri balzelli come l’Irap, che faranno felici proprietari di immobili, commercianti, imprenditori. Difficile che l’esecutivo possa tremare sulla Legge di stabilità, soprattutto se il 13 ottobre riuscirà a blindare definitivamente il nuovo Senato. La sinistra dem sta sparando le ultime cartucce prima di arrendersi più o meno definitivamente alla leadership renziana, nel partito e nel Paese. L’ostruzionismo non è tanto quello di Sel o della Lega o dei grillini quanto quello, viscido e sfuggente, dei senatori della “ditta” bersaniana. Per loro è la partita della vita: dare filo da torcere a Renzi per indebolire il governo e appannare la sua immagine.
Se il premier dovesse spuntarla, infatti, non ce ne sarebbe più per nessuno, neppure per loro. Nessuna ricandidatura possibile, nessun futuro politico per chi ha remato contro le riforme, lascia intendere Renzi. C’è da scommettere che l’ex sindaco di Firenze, pur di emarginare questa minoranza riottosa, continuerà a giocare di sponda con verdiniani, gruppo misto, ex grillini, Gal e altri cespugli. Senza escludere che perfino un Berlusconi nuovamente dialogante possa tornare utile al governo su certi provvedimenti.