Quel Jet F-35 capace di risuscitare i pacifisti
I contestatori a orologeria tornano improvvisamente in vita per contestare l’adesione italiana a un decisivo programma militare.
Complici il clima di austerità e l’annunciata riforma della struttura militare tutti i movimenti pacifisti, dati per scomparsi a causa del loro assordante silenzio durante la guerra libica, hanno improvvisamente ripreso vita per contestare l’adesione italiana al programma F-35. I 15 miliardi di euro che l’Italia dovrebbe spendere nei prossimi 25/30 anni per dotare Aeronautica e Marina del nuovo cacciabombardiere ad alta tecnologia e quasi invisibile ai radar stanno mobilitando i movimenti catto-comunisti, il mondo delle Ong e in genere le anime belle che, con il consueto innesco a orologeria, si infiammano e si indignano per alcune guerre e alcune armi ma tacciono per altre.
A sorprendere in realtà non sono tanto le prese di posizione del mondo pacifista, più o meno scontate, quanto il fatto che a contestare l’acquisizione del velivolo ci si mettano anche molti esponenti dei partiti politici di centro-destra e centro-sinistra che negli ultimi dieci anni e con governi di colori diversi (Berlusconi e Prodi) hanno approvato il coinvolgimento dell’Italia nello sviluppo dell’F-35. A ben guardare i 131 jet convenzionali (versione A ) e a decollo corto/atterraggio verticale (versione B) consentiranno di rimpiazzare un numero quasi doppio di Tornado, AMX e Harrier, questi ultimi imbarcati sulla portaerei Cavour. Velivoli oggi in servizio e impiegati anche sulla Libia ma che nei prossimi dieci anni dovranno essere rimpiazzati.
Il punto di forza dell’F-35 è che non esistono alternative alla sua adozione.
Il velivolo della statunitense Lockheed Martin verrà prodotto in 2.443 esemplari per gli Stati Uniti e almeno altri 800 per una dozzina di Paesi alleati e nonostante le difficoltà tecniche, i ritardi nello sviluppo e l’aumento dei costi inducano lo stesso Pentagono a diluire nel tempo l’acquisto dei jet, di fatto non è oggi possibile rinnovare le flotte aeree alleate con aerei diversi dall’F-35. Persino la versione più costosa e problematica sul piano tecnico, la B, difficilmente verrà tagliata dal ridimensionamento dei bilanci statunitensi perché lascerebbe privo di sostituto l’Harrier, unico aereo oggi imbarcabile sulle piccole portaerei come l’ìtaliana Cavour o le portaelicotteri dei marines. Non disporre dell’F-35B significherebbe per l’Italia aver buttato al vento anche il miliardo e mezzo di euro speso per costruire la portaerei Cavour.
Anche l’Aeronautica ritiene necessario acquisire l’F-35 per restare integrabili con i dispostivi aerei alleati e disporre in futuro di una flotta su due modelli diversi (Typhoon da caccia ed F-35 da attacco). Un lusso che si concedono grandi forze aeree ma non i tedeschi e i francesi che, pur spendendo per la Difesa il doppio e il triplo dell’Italia, baseranno le loro forze aeree su versioni diverse dello stesso velivolo: il Typhoon ed il Rafale. L’adesione al programma F-35 comporta sulla carta compensazioni industriali per l’Italia pari al 70 per cento del valore della commessa ma si tratta di una percentuale tutta da verificare come i 10 mila posti di lavoro che il programma militare dovrebbe creare oggi forse più che dimezzati. Tra le compensazioni è incluso lo stabilimento di Cameri che ha appena cominciato a produrre ali e pezzi di fusoliera per conto di Lockheed Martin, che consentirà l'assemblaggio dei velivoli italiani e olandesi e la manutenzione anche di quelli degli alleati.
Ciò nonostante la decisione di entrare nel programma F-35 porterà gli europei a rinunciare alla capacità di sviluppare un cacciabombardiere concorrenziale con quelli statunitensi come è stato fatto con il caccia Typhoon sviluppato dal Consorzio Eurofighter in servizio in Italia, Gran Bretagna, Spagna e Germania ma esportato anche in Austria e Arabia Saudita. Con l’F-35 l’industria europea diventa un fornitore di quella statunitense alla quale cessa di fare concorrenza. Una penalizzazione strategica oggi difficile da rimediare che lascerà tra pochi anni (quando verranno chiuse le catene di montaggio del Typhoon e del Rafale finora non esportato) un solo produttore di jet da combattimento in Occidente: gli Stati Uniti.
Inoltre la gestione dei sistemi computerizzati avanzati del velivolo resterà in mano agli statunitensi, aspetto che limiterà le ricadute tecnologiche alle aziende europee e renderà gli alleati totalmente dipendenti da Washington. L’F-35 si sta rivelando poi molto più costoso del previsto. In Italia si continua a parlare di 78 milioni di dollari a esemplare ma i costi reali saranno almeno doppi come ha dimostrato un recente rapporto della Corte dei Conti canadese che prevede 146 milioni di dollari per ognuno dei 66 aerei ordinati da Ottawa. Anche i costi di manutenzione, che dovevano risultare più bassi, sono già in netto rialzo rispetto ai velivoli oggi in servizio e gli Stati Uniti stimavano di dover spendere 350 miliardi di dollari per comprare i loro F-35 e altri 650 per mantenerli operativi.
Cifre che oggi vanno riviste al rialzo anche se da spalmare sui bilanci di 30 anni. Al di là dei costi complessivi che potranno essere quindi ben più alti anche per l’Italia possiamo permetterci l’F-35? Gli aerei vecchi vanno indubbiamente sostituiti ma il bilancio Difesa 2011 (14,3 miliardi per le forze armate) verrà tagliato di 2,5 miliardi tra il 2012 e il 2013. Tagli che colpiranno manutenzione, addestramento e l’acquisizione di nuovi mezzi poiché non è possibile tagliare gli stipendi ai militari, voce che già assorbe il 70 per cento del bilancio con tendenza a crescere. In assenza di risorse certe per il futuro, cioè di una pianificazione finanziaria a lungo termine, acquistare l’F 35 (o altri nuovi mezzi) significa rischiare di non aver i soldi per gestirli e tenerli in efficienza. In pratica è come se comprassimo una Ferrari, per giunta a rate ma non avessimo i soldi per fare il pieno, bollo e assicurazione e tagliandi.
Inutile affermare, come fanno i pacifisti, che con un il costo di un F-35 si potrebbero attuare importanti politiche sociali poiché la Difesa è una funzione indispensabile per uno Stato tale e quale il welfare ma un velivolo così costoso e sofisticato è indispensabile? Per bombardare chi? Guerriglieri talebani o truppe di Paesi a bassa tecnologia come quelli che affrontiamo in ambito Nato da 20 anni? Per colpire nemici simili potrebbero essere sufficienti anche velivoli meno avveniristici dell’F-35 che rischia di essere l’ultimo cacciabombardiere pilotato, sostituito tra 30 anni da meno costosi velivoli teleguidati senza pilota.
La soluzione più probabile è che l’Italia segua la tendenza degli alleati alle prese come noi con problemi di bilancio, riducendo il numero di jet da acquistare a 70/90 e acquisendoli in tempi più lunghi. Scelte che potrebbero ridurre i costi ma anche le compensazioni industriali all’Italia. Un compromesso che accontenterebbe le richieste politico/demagogiche ma lascerebbe l’Italia vincolata agli Stati Uniti. L’alternativa di abbandonare il programma (buttando 3,7 miliardi di euro già spesi) seguendo la Germania nell’impiego multiruolo dei caccia Typhoon non comporterebbe grandi risparmi ma lascerebbe la Marina priva di un velivolo imbarcato per la portaerei Cavour.