Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
ELEZIONI

Quel che resta da fare ai cattolici

Quatto considerazioni sui risultati del primo turno del voto amministrativo. A cominciare dall’astensione dal voto. É un segnale grave: chi non si sente rappresentato rischia di essere attratto da forme di protesta per nulla democratiche. Poi l’avanzata dei grillini, il caso Roma e la consolidata irrilevanza del voto dei cattolici.

Editoriali 07_06_2016
Elezioni amministrative 2016

Che cosa è accaduto.

1. Il dato più significativo è l’estensione del non voto. Non sono ancora disponibili le percentuali riguardanti le schede bianche e le nulle. Se però si è recato al voto poco meno del 62 % degli elettori è probabile che l’area di chi non ha espresso un voto - sommando all’astensione le schede non valide - superi la metà degli aventi diritto: non ha precedenti per un’elezione che ha riguardato un numero così elevato di cittadini. 

Ed è accentuato dalla considerazione che l’elezione del sindaco e del Comune è quella che per tradizione coinvolge di più, perché riguarda l’istituzione con la quale si ha il contatto più diretto. I motivi della lontananza dalle urne sono in parte di natura strutturale, e chiamano in causa le difficoltà dei Comuni di fornire risposte adeguate a seguito dei tagli di bilancio cui sono stati sottoposti negli ultimi anni, e quindi l’inutilità di esprimere preferenze se tanto non cambia mai nulla in positivo, in parte di insoddisfacente offerta politica: i candidati sindaci non sono apparsi attrattivi, in sé e nei programmi. 

Il circolo rischia di diventare vizioso se si pensa che al ballottaggio potrebbe vincere chi al primo turno ha superato di poco il 20% dei consensi, e quindi è stato preferito da circa il 10% dei residenti nel Comune: la scarsa legittimazione democratica del primo cittadino non può che alimentare ulteriormente la disaffezione al voto, e con essa l’archiviazione della partecipazione attiva alla guida del territorio nel quale vive. É un segnale grave: chi non si sente rappresentato né da un sindaco né dall’opposizione rischia di essere attratto da forme di protesta che di democratico non hanno nulla.

2. Chi ha scelto di esprimere la protesta con la scheda elettorale ha preferito, per lo meno in città importanti come Roma e come Torino, le candidate del Movimento 5 Stelle. Che ciò non sia accaduto ovunque testimonia che - nonostante quel che sostiene il leader Beppe Grillo - non vi è un automatismo fra voto anti-sistema e crescita dei pentastellati. A Roma e a Torino le candidate del Movimento sono sembrate - in assenza di una esperienza amministrativa alle spalle la valutazione è stata  ovviamente limitata alla campagna elettorale e alla percezione del singolo profilo - persone equilibrate, con un discreto bagaglio culturale, attestato perfino dal possesso della laurea (e a Torino anche di una preparazione superiore alla media). 

Possono aver attratto consensi di aree moderate, perché la protesta è stata affiancata da un tratto rassicurante; candidati più aggressivi non avrebbero conseguito analoghi risultati. Ciò non vuol dire che per ciò stesso - se vincono il ballottaggio - amministreranno bene. Vuol dire che l’elettorato non gradisce toni estremi, anche quando vuol contestare chi governa o chi ha governato.

3. Il presidente del Consiglio ha legittimato ex post l’incarico ricevuto nel febbraio 2014 senza alcun voto popolare con l’ottimo risultato conseguito dal Pd alle elezioni europee del maggio successivo. É vero che la logica delle comunali è diversa da quella - esclusivamente politica - delle europee. É però altrettanto vero che Renzi ha appoggiato in prima persona i candidati Pd nelle città più importanti, sì che il test, meno significativo di quello delle europee, ha avuto pure un senso di indicatore di gradimento nei suoi confronti. Questo gradimento è mancato. 

Il leader Pd deve ringraziare l’onorevole Berlusconi se a Roma riesce ad andare al ballottaggio: senza l’irragionevole divisione del centrodestra capitolino, l’avversario di Raggi sarebbe stata Meloni. Il risultato positivo di Milano conferma che l’elettorato di centrodestra gradisce la compattezza e i candidati credibili, perfino quando l’unità - come è emerso con evidenza - è solo di facciata.

 4. L’altro dato comune di queste elezioni è la consolidata irrilevanza del voto dei cattolici. Nessuno di coloro che giungono al ballottaggio nelle città più importanti ha questa caratteristica, neanche implicita; in campagna elettorale non si sono ascoltati richiami a impegni verso le famiglie, per la parte di competenza dei comuni. L’estensione ampia del non voto probabilmente comprende larga parte dell’elettorato che, nonostante tutto, mantiene queste sensibilità.

In prospettiva. a). Per Renzi e per la legge elettorale che accompagna la riforma costituzionale l’area del non voto è una scommessa ad alto rischio. Nelle prossime elezioni politiche potrebbe sfruttare il nuovo meccanismo fidando sul consolidamento dalla lontananza dalle urne di una parte ampia degli elettori non di sinistra, giungendo ad avere la maggioranza dei deputati con poco più del 10% degli iscritti ai registri elettorali. Tutto ciò se M5s non prende un voto in più: in tal caso Renzi perderebbe il banco. 

Al di là delle sorti dell’attuale primo ministro, un sistema elettorale come quello che - a riforma costituzionale approvata col prossimo referendum - entrerebbe in funzione dal primo turno delle politiche, accentua l’assenza di rappresentatività e allontana ancora di più le istituzioni dal corpo sociale. É una valutazione da non trascurare in vista dell’appuntamento referendario di ottobre.

b). Si è detto molto volte che il centrodestra  per come è esistito nel ventennio a partire dal 1994 non c’è più. Al suo posto il nuovo schieramento che intende rappresentare quell’area stenta a decollare per molte ragioni, non ultima la scarsa credibilità di forze politiche che si dicono di centrodestra e appoggiano un governo di centrosinistra: o facendone parte, o mandando propri distaccamenti a sostegno. E perché mai gli elettori di area dovrebbero votarli?

c). Il mondo cattolico italiano non è scomparso. Le manifestazioni del 20 giugno dello scorso anno e del 30 gennaio di quest’anno lo confermano; non solo esse: tanto generoso impegno per venire incontro agli effetti della crisi e alle emergenze che viviamo proviene quasi esclusivamente da un volontariato orientato dall’appartenenza religiosa. Se però oggi nel cuore della cristianità la carica di sindaco è contesa da due candidati che hanno pensato bene negli ultimi giorni di concordare sullo spinello libero e liberamente spacciato e sul matrimonio omosessuale, vuol dire che quel mondo non è rappresentato da nessuno. Si accetta questo come un dato naturale, come la pioggia e la grandine? 

Proprio il voto amministrativo potrebbe costituire l’occasione per ricostruire una rappresentanza: per il governo di una città l’individuazione di una persona stimata sul territorio, affiancata da un lista civica omogenea, priva di connotazioni ideologiche, ma protesa alla soluzione delle difficoltà quotidiane dei singoli e delle famiglie, potrebbe costituire una attrattiva superiore rispetto a candidati scelti all’ultimo minuto da partiti squalificati. Ma questo esige un lavoro di formazione e di coordinamento che non si improvvisa poche settimane prima del voto. Esige soprattutto la consapevolezza che l’amore per il prossimo passa anche dall’amore per la polis, nel senso proprio del termine. Ci sono momenti in cui tutto ciò non è più delegabile: è il tempo che stiamo vivendo.