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FECONDAZIONE

Quando le toghe si mettono il camice bianco

Ci risiamo: magistrati certo espertissimi in codici e pandette, ma del tutto irresponsabili in altre materie pretendono di appendere le loro toghe anche là dove non dovrebbero. Accade sulla fecondazione eterologa, così com’era già successo con il metodo Stamina: dai giudici un'altra picconata alla già fragile credibilità della politica.  

Editoriali 20_08_2014
Magistratura invadente

Di nuovo la politica lascia l’ultima parola va ai giudici, di nuovo un provvedimento di salute pubblica (che tuttavia sconfina in ambiti ancora incerti e indefiniti) viene imposto per sentenza da un Tribunale. Ci risiamo: magistrati certo espertissimi in codici e pandette, ma del tutto irresponsabili in questa materia pretendono appendere le loro toghe anche là dove non dovrebbero. Accade sulla fecondazione eterologa, così com’era già successo con il metodo Stamina: tocca ancora ai giudici (del Tribunale di Bologna, in questo caso) dare un ulteriore colpo di piccone alla già fragile credibilità di Parlamento e governo. 

Una storia infinita quella della procreazione assistita made in Italy, che comincia con il divieto imposto dalla legge 40 alla fecondazione eterologa e finisce oggi con la sentenza bolognese che ne autorizza l’immediato impiego per le coppie che ne fanno domanda. In mezzo, c’è il terremoto innescato dalla sentenza del 9 aprile scorso, quando la Corte costituzionale cancella il divieto di fecondazione eterologa, quella cioè, che usa gameti di donatori esterni alla coppia. Da qui in avanti sarà guerriglia politica e giudiziaria a macchia di leopardo: Regioni ribelli pronte al loro federalismo bioetico, centri medici privati che promettono assistenza alle coppie anche in clandestinità e fuori dalla legge, giudici che parlano come politici, ministri che prima annunciano un decreto e poi lo ritirano.  Con la palla che torna di nuovo all’Alta Corte: è il presidente, Giuseppe Tesauro, a rendere l’eterologa immediatamente disponibile, purché siano rispettati i paletti stabiliti dalla legge 40. Fine della partita, il resto è solo una variazione sul tema.

Risultato: una legge che avrebbe dovuto evitare il far west bioetico è stata condannata all’inceneritore senza possibilità di ritorno. Tolto il divieto all’eterologa, bastano e avanzano le norme già esistenti. Concetto ribadito anche dal giudice bolognese la cui sentenza, anche se “tecnicamente” riguarda solo le parti coinvolte, costituisce tuttavia un precedente per tutti gli altri Tribunali.  Così il vaso di Pandora dei figli concepiti in provetta è stato aperto, e adesso lo spettacolo è decisamente peggiore di quello messo in scena solo due settimane fa, quando il ministro della Sanità fece conoscere le linee generale del suo decreto legge, presentato alla stampa ma bocciato in consiglio dei ministri. 

E dire che la legge di Beatrice Lorenzin mirava a evitare il supermarket di spermatozoi e ovociti, a garantire i diritti del nascituro, la sicurezza e la tracciabilità della procedura, la regolamentazione dei test per donatori e riceventi. La bozza del ministro prevedeva che la donazione dei gameti fosse volontaria e gratuita, con rimborsi equiparati a quelli spettanti a chi dona sangue o midollo, metteva precisi limiti di età a donatori e riceventi, col divieto di donazione tra parenti fino al quarto grado e un limite massimo di 10 donazioni. Sul fronte dell’anonimato, poi, il testo ammetteva la possibilità di risalire al donatore esclusivamente per motivazioni sanitarie.  Infine, il decreto vietava di poter scegliere le caratteristiche genetiche e razziali dei donatori per evitare un’inaccettabile selezione eugenetica. 

Questo era il piano al fine di mettere almeno una toppa alla voragine provocata dalla Corte. Ma si sa, di buone intenzioni son lastricate le vie dell’inferno e a rimetterci le penne in questo caos fecondativo sarà ancora la sanità pubblica. Il decreto, infatti, prevedeva che l’eterologa fosse rimborsata: dieci milioni e 203mila euro era il conto a carico della casse statali, cui andavano aggiunti anche i 660mila euro per istituire l’indispensabile Registro dei donatori e i 150mila all’anno per la sua gestione dal 2015. Saltata la copertura, gli ospedali non anticiperanno certo i quattrini necessari per gli interventi con la conseguenza. Alle coppie non resterà che accendere un mutuo prima di bussare ai centri privati. 

Ma questa è sola l’altra faccia di una medaglia già del tutto svalutata. Chi, infatti, in tale deregulation del bio-mercato controllerà che non vengano commesse mostruosità etiche e giuridiche o che sia messa in pericolo la vita dei nascituri? Nessuno, tantomeno la magistratura che ha innescato la prima onda dello tsumani legislativo. La stessa che, è bene ricordarselo, ha dato esempi certo non fulgidi quando si è trattato di decidere su questioni che riguardavano la vita e la morte (vi ricordate di Eluana?) o più semplicemente la salute dei cittadini. Come sull’allucinante vicenda delle cure basate sul metodo Stamina inventato da Davide Vanoni: sedicente guaritore con laurea non in Medicina ma in Scienza della comunicazione.

La Procura di Torino ha rinviato a processo il guru e i suoi soci accusandolo di una serie infinita di reati (associazione a delinquere e truffa, esercizio abusivo della professione medica, diffamazione e sostituzione di persona). Salvo poi essere smentita da quella de L’Aquila che ha obbligato l’ospedale di Brescia ad applicare il metodo “truffaldino” per salvare la vita a Noemi, la bambina affetta da atrofia muscolare spinale cui altri giudici avevano precedentemente negato le cure. Ecco quello che succede quando il giudice smette la toga per indossare il camice bianco. Prepariamoci: con questi precedenti, c’è poco da stare tranquilli.