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LIBERTA' IN ASIA

Qualcosa di buono dall'Ue: la difesa di Taiwan

Talvolta il Parlamento Europeo si ricorda di difendere la libertà, anche andando controcorrente. Una risoluzione, votata a maggioranza, difende la Taiwan dal “bullismo” del regime di Pechino, nonostante le forti pressioni del regime comunista. Taiwan, con un vicepresidente cattolico, è l'ultimo lembo di Cina in cui vige la libertà di religione.

Editoriali 16_09_2018
Tsai Ing-wen

Talvolta il Parlamento Europeo si ricorda di difendere la libertà, anche andando controcorrente. Succede quando il premio Sacharov viene assegnato a dissidenti di regimi socialisti repressivi. E’ successo anche giovedì, quando il Parlamento ha approvato la delibera redatta da Bas Belder (un politico olandese e membro della Commissione per gli Affari esteri) che difende la Taiwan dal “bullismo” del regime di Pechino.

I voti a favore sono stati 530, i contrari 53 e le astensioni 55. La risoluzione ribadisce il sostegno europeo all’impegno di Taiwan in istituzioni internazionali da cui rischia di essere esclusa, a causa delle pressioni della Cina. Fra queste vi sono l'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (Icao) e l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dalla cui Assemblea Taiwan è stata esclusa per il secondo anno di fila. “L'esclusione continua di Taiwan non è in linea con gli interessi dell'Ue”, si legge nel documento di Bas Belder. Il testo riafferma anche l’opportunità di un accordo bilaterale per gli investimenti tra Taiwan e Ue. Chiede inoltre all'Ue e ai suoi Stati membri di fare il massimo “affinché Pechino si astenga da ulteriori provocazioni militari verso Taiwan”. Bruxelles esterna preoccupazione per la decisione unilaterale della Cina di iniziare ad utilizzare nuove rotte di volo sullo stretto di Taiwan.

Queste sono solo alcune forme di “bullismo” di Pechino ai danni di Taiwan. Il grosso del lavoro, il regime comunista cinese lo sta facendo nella diplomazia. Prima di tutto, appunto, escludendo Taiwan da quanti più consessi internazionali possibili, per farla letteralmente scomparire dal mondo. Anche nei rapporti bilaterali, Pechino sta lavorando per la rottura dei rapporti diplomatici con Taipei in tutti quei paesi che ancora mantengono relazioni con l’isola “ribelle”. Dal 2016, il regime comunista, con un misto di minacce e blandizie, è riuscito a far chiudere le ambasciate di Taiwan in Gambia (che ha aperto regolari relazioni diplomatiche con Pechino nel marzo 2016), a Panama, a Sao Tomè e Principe, nella Repubblica Dominicana e nel Burkina Faso. Né la Cina comunista accetta che vi siano rapporti informali o “di fatto” fra Taiwan e i paesi che già non la riconoscono. Sempre negli ultimi due anni, ha spinto il governo della Nigeria a trasferire l’ufficio di rappresentanza di Taipei dalla capitale Abuja alla città di Lagos. Gli uffici di rappresentanza a Dubai, in Ecuador, in Bahrain, in Giordania, e da ultimo anche a Papua Nuova Guinea sono stati costretti a eliminare ogni riferimento alla “Repubblica di Cina”, il nome ufficiale di Taiwan. Infine, ancor più significativamente, la Cina preme sui paesi in cui vengono arrestati cittadini di Taiwan, affinché vengano estradati nella Repubblica Popolare. In questo modo, disconoscendo del tutto l’indipendenza dell’isola e della sua magistratura, Pechino segnala di volersi sostituire anche al suo sistema giudiziario.

Sul piano economico, lo scorso aprile, Pechino ha fatto pressioni su 44 compagnie aeree che hanno rotte con Taiwan perché cambiassero nei loro siti di prenotazioni il nome della destinazione, da “Taiwan” a “Taiwan, Cina”, per sottolineare l’appartenenza dell’isola alla Repubblica Popolare. Entro il 25 maggio, scadenza prevista da Pechino, ben 18 compagnie hanno obbedito. Il governo degli Stati Uniti ha fatto pressione sulle sue compagnie aeree perché ignorassero la richiesta cinese. Altre multinazionali, quali Gap, Daimler, Mercedes-Benz, Zara, Medtronic e Costco hanno dovuto scusarsi pubblicamente con Pechino per aver fatto menzione di Taiwan nella loro comunicazione aziendale in termini considerati “sensibili” dal governo cinese.

I rapporti fra la Cina continentale e la piccola Cina di Taiwan sono tesi sin dal 1949. Taiwan, precedentemente conosciuta come Formosa, nel 1949 era l’ultimo lembo di territorio cinese controllato dal nazionalista Chiang Kai-shek, mentre tutto il resto cadeva nelle mani di Mao Zedong. Il regime comunista la considera tuttora come una sua “provincia ribelle” e non accetta che il resto del mondo la riconosca come una entità politica indipendente. Che cosa sta causando questa escalation di Pechino proprio negli ultimi due anni? Una causa è esterna e una è tutta interna alla Cina. La causa esterna è la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, insediatasi al vertice dello Stato dal gennaio del 2016. E’ espressione del Partito Democratico, il più favorevole alla piena indipendenza dalla Cina. Non ha mai avuto una politica aggressiva nei confronti dell’ingombrante vicino, ma insiste sul mantenimento dello “status quo”. E questo è già una “provocazione” agli occhi di Pechino, che invece mira alla riunificazione. La causa interna alla Cina è invece il presidente Xi Jinping, che ha deciso di premere sull’acceleratore della “riunificazione” cinese. E che mira a mettere le mani su Taiwan, probabilmente entro il 2021, centenario della fondazione del Partito Comunista.

Con l’approvazione di una risoluzione in difesa di Taiwan, l’Ue dimostra, almeno, di non piegarsi alle potenti pressioni della Cina. Una vera rarità di questi tempi. La risoluzione sottolinea i contrastanti sviluppi politici a Taiwan e in Cina, con una democrazia pluripartitica da una parte ed un regime sempre più autoritario dall'altra. E’ una presa di posizione importante anche per la difesa della libertà di religione, la prima di tutte le libertà. Taiwan, assieme a Hong Kong, è l’ultimo lembo di terra cinese in cui tutte le religioni sono libere, anche il cristianesimo. La presidente ha un vice, Chen Chien-jen, la cui fede cattolica è motivo di vanto, sin dai tempi della campagna elettorale del 2015. Il cristianesimo è la religione del 3,9% della popolazione. Il Vaticano è uno dei pochi Stati a mantenere, da 76 anni, regolari relazioni diplomatiche con Taiwan. Almeno finché un eventuale accordo con la Cina di Pechino, oltre che al riconoscimento dei vescovi di regime, non costringa la Santa Sede a disconoscere la piccola repubblica.