Putin fa la voce grossa, ma è solo deterrenza
Vladimir Putin evoca le armi nucleari mentre i missili lanciati da lunga distanza da navi, sottomarini e bombardieri strategici russi colpiscono obiettivi in Siria che i miliziani jihadisti, dello Stato Islamico o di altri movimenti, non sono in grado di proteggere con sofisticate ed efficaci difese antiaeree. In realtà, Mosca però punta anche a mostrare i muscoli per esprimere una forte deterrenza nei confronti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Turchia e Nato.
Vladimir Putin evoca le armi nucleari mentre i missili lanciati da lunga distanza da navi, sottomarini e bombardieri strategici russi colpiscono obiettivi in Siria che i miliziani jihadisti, dello Stato Islamico o di altri movimenti, non sono in grado di proteggere con sofisticate ed efficaci difese antiaeree. Il Cremlino continua a impiegare in Siria il meglio del suo arsenale e utilizza la guerra ai jihadisti per addestrare in un contesto bellico reale equipaggi di navi e velivoli, o per testare i nuovi armamenti per poterli poi migliorare: in pratica quello che hanno sempre fatto Stati Uniti e Paesi europei nei conflitti degli ultimi anni. Mosca però punta anche a mostrare i muscoli per esprimere una forte deterrenza nei confronti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Turchia e più in generale l’Alleanza Atlantica.
Colpire Raqqa con i missili da crociera Kalibr e Kh-101 lanciati dal sottomarino “Rostov sul Don” in navigazione nel Mediterraneo Orientale e dai bombardieri Tupolev che decollano dalla Russia meridionale per sorvolare Iran e Iraq prima di lanciare le loro armi a lungo raggio è del tutto anti-economico. I 34 cacciabombardieri Sukhoi basati a Latakya, in Siria, sarebbero sufficienti a colpire indisturbati tutti gli obiettivi degli insorti siriani. Del resto anche gli statunitensi e i britannici hanno impiegato in molte occasioni e in conflitti contro nemici non certo avanzati tecnologicamente missili da crociera o i bombardieri strategici.
Vladimir Putin però ha suscitato scalpore e qualche preoccupazione dichiarando che le sue armi «possono imbarcare testate convenzionali e +testate speciali, comprese quelle nucleari», aggiungendo che «decisamente niente di tutto questo è necessario per combattere i terroristi. E speriamo che non sia mai necessario». Un messaggio che ha allarmato molti, ma in realtà dal puro significato deterrente, che evoca le dichiarazioni dell’epoca della Guerra Fredda e soprattutto ricorda a tutti che Mosca è ancora una potenza nucleare. Del resto, oggi al Cremlino non mancano certo rivali, avversari e nemici dichiarati. Oltre ai jihadisti e agli ucraini di Kiev il contrasto è netto con la Turchia per la crisi aperta con l’abbattimento del Sukhoi al confine siriano, e con Washington che definisce ancora la Russia come la «principale minaccia» alla sicurezza nazionale e globale. Una valutazione paradossalmente assimilata anche dall’Alleanza Atlantica benché buona parte dei suoi membri europei (Italia in testa) non lo condividano e, anzi, puntino a ricucire lo strappo con Mosca doloroso sotto il profilo commerciale e controproducente di fronte alla necessità di costituire una coalizione che combatta realmente i jihadisti.
La “provocazione” di Putin nell’evocare le armi atomiche sembra quindi avere lo scopo di ricordare al mondo che la Russia è la maggiore potenza nucleare del globo con 7.500 testate atomiche tra operative (1.780 operative), in riserva (2.720) e stoccate (4.500 di cui 3mila destinate allo smantellamento). Un po’ di più delle 7.200 degli Stati Uniti che però ne schierano quasi 2.100 pronte all’impiego, 2.600 in riserva e 4.700 nei depositi. In termini numerici Washington e Mosca surclassano tutte le altre potenze atomiche (Cina, Francia, Gran Bretagna, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord cui aggiungere gli “aspiranti membri del club” iraniani e sauditi) che schierano arsenali compresi tra la decina di ordigni di Pyongyang e i 300 attribuiti a Parigi e Pechino.
Venticinque anni dopo la fine della Guerra Fredda il presidente russo flette i muscoli mostrando l’efficienza del suo deterrente strategico il cui valore resta però difensivo, cioè teso a scoraggiare aggressioni non solo con armi di distruzione di massa, ma che costituiscano comunque una grave minaccia all’esistenza dello Stato. La condizione sufficiente, in base alla più recente dottrina nucleare russa resa nota un anno or sono, per ricorrere all’arma atomica.