Prove generali di Stato totalitario: telecamere negli asili
Dopo i recenti casi di maltrattamenti all'asilo e di infermiere killer, nel Pd pensano di correre ai ripari. Come? Dotando ogni scuola e casa di cura di un sistema di videosorveglianza. Ma saremo più liberi? Il controllo ossessivo e indiscriminato costringerà i sorvegliati ad una estenuante umiliazione.
Telecamere negli asili, video sorveglianza negli ospizi, controlli a circuito chiuso nei reparti ospedalieri. Quando la politica reagisce con paura di fronte alla cronaca nera, si ottengono storture tipiche dei regimi dittatoriali. Verrà giorno che un papà potrà controllare senza pensieri dal tablet in ufficio l’attività del proprio figlio all’asilo nido e non è lontana l’ora in cui accenderemo il pc per verificare se la nonna portata in casa di cura è trattata bene dalle inservienti cui l’abbiamo affidata.
Ci sentiremo più sicuri. Ma saremo più liberi? L’interrogativo è urgente. Il Parlamento si sta muovendo per dare una risposta ai casi choc che i giornali raccontano, spesso ingigantendoli, di maestre violente all’asilo, infermiere killer, inservienti senza cuore. E come lo fa? Da un lato inasprendo le pene per questo tipo di casi in cui minori o deboli sono letteralmente esposti alla mercè di violenti che abusano della loro condizione. Ed è questa l’iniziativa del ministro della Salute Beatrice Lorenzin che ha depositato un ddl al Senato per inasprire le pene per il personale che si rende responsabile di maltrattamenti e abusi, sia nelle scuole dell’Infanzia che nelle strutture protette.
Ma questo è il versante della repressione. Al Pd sembra non bastare. Così bisogna intervenire su quello della prevenzione. Come? Tappezzando aule di scuola e reparti ospedalieri di telecamere per controllare il lavoro di educatori e addetti sanitari. L’idea è venuta a tre deputate Pd a seguito dei fatti di Piombino dove un’infermiera è stata arrestata con l’accusa di aver provocato la morte di 13 pazienti. «Prevenire maltrattamenti e soprusi contro giovani alunni, anziani e disabili ricorrendo alla videosorveglianza».
A chiederlo è la vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera, Daniela Sbrollini che assieme alle colleghe Dem Vanna Iori e Ileana Argentin vuole adottare una proposta di legge attualmente in fase di scrittura per arginare «abusi che non di rado sfociano nella violenza o nella segregazione verso i soggetti meno arrendevoli o più irrequieti».
L’iniziativa non ha nulla a che fare con la proposta di legge passata in commissione alla Camera e presentata dalla Iori che disciplina il lavoro degli educatori, per i quali, se la proposta diventerà legge, servirà la laurea. Ma in questi giorni in cui l’attenzione mediatica ha riportato certe esigenze a galla e la Pdl della Iori 2656 è passata in commissione, se n’è tornato a parlare. Con accenti piuttosto giacobini che andrebbero chiariti in fase di stesura della legge e non solo per lo scoglio del rispetto della normativa sulla privacy che la legge dovrebbe superare.
Le promotrici della legge citano l’Osservatorio sui Diritti dei Minori il quale «denuncia un’emergenza rispetto ai casi di maltrattamento negli asili e nelle scuole materne». Però di numeri, per cercare di inquadrare il fenomeno, neanche a parlarne. «Non ci sono dati ufficiali sul numero dei maltrattamenti che si sono verificati nelle strutture pubbliche, sarebbe molto importante avere una banca dati, raccolti e trasmessi dalle regioni al ministero della Salute». Nel frattempo conviene attrezzarsi con misure di questo tipo che se da un lato potrebbero dare un’impressione di maggiore sicurezza, dall’altro esporrebbero il dipendente di turno monitorato ad uno snervante quanto umiliante controllo degno dei migliori regimi totalitari.
L’iniziativa è trasversale dato che a inizio legislatura anche l’esponente di Forza Italia Gabriella Giammanco aveva presentato una proposta identica. «Si tratta di introdurre sistemi di sorveglianza video non solo negli asili, ma anche nelle strutture sociosanitarie che assistono anziani e disabili. Lo scopo è tutelare i soggetti vulnerabili che sono in completa balia di chi si prende cura di loro, attraverso un sistema di telecamere a circuito chiuso», aveva detto. E in precedenza erano state ben due le iniziative popolari che si erano mosse in tal senso con apposite sottoscrizioni.
Anche una delle tre promotrici, Vanna Iori, è tornata nei giorni scorsi sulla cosa. Lo ha fatto su un’emittente radiofonica che la intervistava partendo dal progetto di legge che porta il suo nome. Ma nel corso dell’intervista ha ribadito la necessità di telecamere come strumento di controllo. Si badi, strumenti di controllo e non di verifica nei casi sospetti, che infatti vedono già l’intervento di videosorveglianza dopo l’interessamento di una Procura.
Passerà? Vista la trasversalità dell’iniziativa c’è da scommettere di sì. Anche perché da qualche giorno sulla proposta ci si è messo anche uil governo con il suo cappello. Il ministro degli Interni Alfano infatti, rispondendo proprio mercoledì al Question time ad una interrogazione sul tema non l'ha escluso: «Quella di adottare sistemi di sorveglianza nelle scuole per l'infanzia e nelle case di cura è un'esigenza molto sentita e meritevole di risposte adeguate per le quali siamo pronti ad intervenire dal punto di vista legislativo», ha detto il ministro. Che però a precisato come «il tema della registrazione di immagini nelle scuole dell'infanzia e nei luoghi di cura tocca elementi delicati per la tutela della riservatezza delle persone e per questo il Garante della privacy ha emanato regolamenti per la videosorveglianza nei luoghi di lavoro, in modo da evitare forme invasive di controllo». Insomma, sembra che sia un problema di privacy, però aggirabile. Invece è il segnale di come il grande fratello sia pronto a controllarti in ogni tuo piccolo movimento e a giudicarti secondo standard qualitativi a cui tu non avevi certo pensato.
Inutile aggungere che una legge simile verrà salutata come una nuova tappa nel processo di civiltà del Paese. Ma sarà davvero un provvedimento teso a dare maggiore libertà a tutti i soggetti in campo? Anche perché in assenza di dati precisi si ignora quanto il fenomeno delle maestre “orche” sia profondo e radicato nel Paese. In ogni caso, posto che un caso è un caso di troppo, è sulla prevenzione in ambito di formazione umana e professionale che si dovrebbe intervenire, più che sull'aiuto delle macchine. E in fase di verifica costante, di passaggi di informazione coi colleghi, di lavoro di una comunità educante e professionale sul quale oggi non si investe più, pretendendo di affidare agli strumenti tecnologici ogni decisione sulle nostre vite. Una volta installate le telecamere poi, queste potranno essere usate anche per altri scopi.
Inoltre: chi si incaricherà di monitorare il lavoro dei controllati? Sarà in grado di distinguere una manifestazione di affetto verso un bimbo da una minaccia alla sua incolumità? E come verranno presi quei gesti di insofferenza umana, che possono capitare nelle migliori strutture senza per questo che siano minacce disumane verso un debole indifeso? Non avete mai visto una infermiera perdere la pazienza con un anziano? O una maestra alzare un po' di più il tono della voce con un bimbo? Bene, da domani saranno tutte sotto controllo e perciò passibili di denuncia perché gli standard di perfezione a cui stiamo abituando l'umanità si sono elevati.
Le immagini rischierebbero così di essere utilizzate come arma di ricatto per chi lavora nelle strutture preposte. Le quali dovranno essere perfette, senza increspature nel carattere e nell'umore, prive di quell'umanità che dovrà essere bandita per evitare spiacevoli fraintendimenti generatisi con la visione delle immagini in bianco e nero.
Sono interrogativi, certo, ma non è detto che sia sufficiente mettere una telecamera per essere sicuri. Ma di certo un controllo a distanza toglie libertà. E quando la libertà viene tolta è una sconfitta per tutti.