Promemoria per uno scisma
La Chiesa tedesca è attraversata
da correnti antiromane che spingono per riforme all'interno della chiesa sulle quali Roma da tempo
si è espressa negativamente. L'origine di queste correnti
è in quel cattolicesimo vicino ai settori protestanti. Nel 1968 due grandi storici della chiesa, Hubert Jedin
e Konrad Repgen, reagirono
alla questa deriva inviando alla Conferenza episcopale tedesca
un promemoria. Fu liquidato con sufficienza. Ora lo traduce Il Foglio.
La chiesa tedesca è attraversata da correnti antiromane che spingono per riforme all'interno della chiesa sulle quali Roma da tempo si è espressa negativamente.
L'origine di queste correnti è in quel cattolicesimo vicino ai settori protestanti e che continuamente cerca di adeguare la chiesa al mainstream del pensiero mondano.
Il 16 settembre 1968 due grandi storici della chiesa, Hubert Jedin e Konrad Repgen, cercarono di reagire a questa deriva inviando alla Conferenza episcopale tedesca un promemoria. Ma, come ha dichiarato l'altro ieri sull’Avvenire il cardinale Walter Brandmüller, “il testo fu liquidato con sufficienza dal presidente dell’episcopato dell’epoca, il cardinale di Monaco Julius Döpfner”.
Fino a oggi il promemoria era reperibile soltanto in tedesco, all'interno di "Hubert Jedin, Lebensbericht. Hrsg. von Konrad Repgen. Grünewald-Verlag, Mainz".
Oggi il Foglio ha tradotto il promemoria e l'ha pubblicato in esclusiva. Eccolo.
Nulla favorisce maggiormente la divisione della chiesa dell’illusione che la divisione non esista. La chiesa cattolica si trova oggi in una crisi profonda. Una crisi che coinvolge anche la Germania, per lo meno la Repubblica federale tedesca. Il Katholikentag di Essen ha portato alla luce questa crisi, per quanto l’enciclica Humanae vitae non debba essere vista come l’origine ma la causa, la miccia che l’ha fatta esplodere. A noi questa crisi induce a vedere paralleli con i precedenti storici che nel XVI secolo hanno portato alla scissione all’interno della cultura occidentale. Il che ci costringe, a sua volta, a trarre dall’esperienza storica conclusioni nella valutazione della crisi contemporanea.
I. La ricerca storica degli ultimi decenni prova che Martin Lutero non avesse intenzione di dividere la chiesa quando, nel 1517, sottopose ai vescovi competenti e poi pubblicò le sue tesi sulle indulgenze. Si era progressivamente allontanato dall’autorità ecclesiastica, a Lipsia (1519) aveva rifiutato il carattere vincolante dei concili ecumenici ordinari, ed è stato indotto infine, non ultimo dall’eco delle sue tesi nell’opinione pubblica (eco che lui stesso non aveva immaginato) a non obbedire alla condanna delle sue 41 tesi enunciata dalla Bolla “Exsurge Domine” (1520), un gesto di disobbedienza, per altro già da troppo tempo rimandato. […] Per i vescovi “la disputa di Lutero” era in primo luogo una disputa tra teologi, e non capirono che stavano, non solo per essere intaccati, ma distrutti i fondamenti del concetto di chiesa cattolica. Se si prescinde da uno scarno gruppo di teologi, agli occhi dei fedeli Lutero incarnava invece il ritorno alla vera dottrina della salvezza, era colui che rinnovava la chiesa, colui che li liberava da quello che loro reputavano il gioco imposto in passato dalla chiesa. I più accesi ed efficaci paladini del movimento luterano furono gli “intellettuali di allora”, gli umanisti, secondo i quali la teologia, la scolastica costituiva un ostacolo al progresso. A questi si associarono anche numerosi sacerdoti. […] E infine alcune fasce a rischio di caduta sociale, tra queste la nobiltà dell’impero e, in una parte consistente della Germania, i contadini benestanti. A rendere possibile il successo quasi totale del movimento luterano tra il 1517 e il 1525 fu il dominio sulla stampa, uno strumento di comunicazione di cui fino ad allora la chiesa non aveva compreso a fondo il significato. Ai cosiddetti “ragionieri” vennero letteralmente strappati di mano gli scritti di Lutero, i numerosi volantini che traevano profitto dalle sue idee. Parlavano la lingua del popolo e venivano letti, anzi, letteralmente divorati; le poche voci che si levarono per mettere in guardia, voci appartenenti a teologi che vedevano più chiaramente, ma erano pessimi propagandisti, non vennero lette, furono bollate come “reazionare”. I rappresentanti della dottrina della chiesa, il Papa e i vescovi, restarono in silenzio; il concilio, ripetutamente reclamato, non ebbe luogo. Le incertezze in tema di fede rimasero. Senza voler in alcun modo sminuire le omissioni e gli errori commessi proprio e in primo luogo dalla curia romana, va però altresì detto che è stata soprattutto la passività dell’episcopato tedesco a permettere l’avanzata praticamente incontrastata del movimento luterano, anzi ad averla resa possibile. E’ in questo modo che i vescovi tedeschi si fecero sfuggire l’occasione; perché un volta che la maggior parte delle città libere dell’impero e quelle rette dai principi ebbero abbracciato la causa luterana (dopo il 1526) fu troppo tardi. […] Il movimento luterano si organizzò e consolidò, si definì confessione e si unì in un’alleanza militare: la scissione della chiesa era diventata realtà. Oggi sappiamo che la scissione interna, la formazione di questa “confessione” è durata non anni ma decenni. Melantone e Calvino hanno rivendicato fino alla fine dei loro giorni di appartenere alla fede “cattolica”; i fedeli al vecchio credo venivano diffamati come “papisti”. Il popolo dei fedeli continuava a frequentare la messa e a invocare i suoi santi; l’ordinamento ecclesiastico luterano si appropriò di molti elementi cattolici, processioni e pellegrinaggi compresi. Per questo la massa che componeva il popolo dei fedeli non si avvide che la riforma non era semplicemente una riforma della chiesa, ma la formazione di una nuova chiesa che si reggeva sul altre fondamenta. Per concludere bisogna dunque evidenziare che: nulla ha favorito maggiormente la scissione della chiesa dell’illusione che questa scissione non esistesse nemmeno. Un’illusione diffusa a Roma e soprattutto nell’episcopato tedesco, presso i teologi, tra la maggioranza dei sacerdoti e tra il popolo. Impossibile non vedere i parallelismi tra ieri e oggi. […]
II. Il nocciolo dell’attuale crisi ecclesiastica in Germania è, esattamente come nel XVI secolo, costituito dall’incertezza e dal disorientamento nella fede. La critica protestante alla Bibbia è entrata a gamba tesa e in modo diffuso nella teologia cattolica. Ma non sono tanto i titolari delle cattedre esegetiche, comunque attenti nelle loro formulazioni, quanto i loro allievi e in generale il loro uditorio, spesso teologicamente nonché filologicamente poco attrezzato, a far proprie e diffondere in modo approssimativo, nelle accademie, durante convegni, seminari e professioni di fede, le tesi di teologi evangelici radicali, come per esempio quelle di Bultmann. Usando come paravento l’ermeneutica si mette in discussione il carattere vincolante di definizioni dogmatiche dei concili ecumenici (per esempio quello della transustanziazione); viene allentato il legame tra la teologia e l’insegnamento della chiesa, se non addirittura rifiutato; l’insegnamento stesso sminuito se non addirittura reso ridicolo. A favorire la dissoluzione del concetto cattolico di chiesa è l’atteggiamento anti autoritario, il disprezzo per qualsiasi forma di obbedienza, in particolare confessionale, predominante tra i giovani, e sostenuto da molti genitori e pedagoghi. La domanda: “Ma cos’è oggi ancora cattolico?”, non viene però formulata solo dai cattolici più anziani, i cosiddetti “cattolici tradizionalisti”, se la pone anche il nocciolo duro dei fedeli autentici e convinti. Una domanda che […] è espressione di una profonda insicurezza e conflitto di coscienza. Il potere acquisito nel frattempo dai mezzi di comunicazione non è lontanamente paragonabile a quello del XVI secolo. I mass media vengono in massima parte dominati da intellettuali, i quali spesso, e soprattutto perché sono cattolici, sostengono e diffondono il “nuovo” di per sé, ai loro occhi “progressista”, senza tener conto, approfondire il suo contenuto di verità. E lo diffondono con un linguaggio e uno stile che ammicca alla predilezione dei giovani per gli slogan (“democratizzazione della chiesa”) mentre minimizzano o addirittura abbelliscono dal piccolo schermo le loro azioni di disturbo, e in genere commentano i fatti inerenti la chiesa in uno stile ben preciso. Costruiscono, ma più correttamente si dovrebbe dire manipolano un’“opinione pubblica”, nei confronti della quale solo pochi, tra i milioni di telespettatori, sono in grado di formarsi un’opinione propria. Questa continua “irrigazione” dei fedeli attraverso i mezzi di comunicazione in mano alla “sinistra” ecclesiastica non può che mutare il rapporto dei fedeli con la chiesa, il che è già successo. Il disorientamento aumenta di mese in mese. Più dura e più aumenta il pericolo, esattamente come nel XVI secolo, di una scissione al suo interno oppure – il che sarebbe ancora più grave – di un allontanamento totale dalla chiesa. Non pensiamo affatto che la fondazione e il sostegno a gruppi e movimenti conservatori (“Una voce”, “Nunc et semper”) sia la via giusta per scongiurare una divisione della chiesa o per arginare il pericolo di sempre più fedeli che le voltano le spalle. Lasciare in mano a una “destra” ecclesiastica la lotta contro gli eccessi di una “sinistra” ecclesiastica, equivarrebbe a una rinuncia di fatto all’autorità che la chiesa cattolica, a differenza di quella protestante, possiede grazie al fatto che la sua struttura poggia su un diritto divino. E’ la chiesa stessa che deve parlare in modo comprensibile e deve agire in modo deciso, anche se ne va della sua popolarità. Se lo farà, e lo deve fare presto, allora vedrà che la stragrande maggioranza del popolo tutt’ora cattolico si metterà dietro di lei. Se nei primi anni della scissione della chiesa nel XVI secolo, i vescovi tedeschi si fossero uniti in un’azione comune, insomma prima che la riforma si trasformasse in una questione politica, non si sarebbe comunque potuta evitare la scissione, che però avrebbe potuto essere ridotta semplicemente a una piccola frangia. Oggi l’episcopato non è più frenato e gravato da un’istruzione teologica insufficiente, dalla sua posizione sociale e dai conseguenti intrecci con la politica. La costituzione “Lumen gentium” ha riconosciuto all’episcopato diritti e possibilità fino ad allora inesistenti, e al contempo però anche maggiori responsabilità riguardo all’integrità della fede. Non possono più solo attendere l’intervento delle massime autorità ecclesiastiche, devono agire in prima persona. Laddove i mezzi di comunicazione erigono muri del silenzio oppure ammettono la raffigurazione di fatti reali solo attraverso una lente distorta, tocca a loro intervenire con parole chiarificatrici e conseguenti azioni. Nessun cattolico o non cattolico deve dubitare del fatto che i vescovi reputano la difesa e la custodia della fede il loro primo dovere.
III. Ecco qualche esempio di come ci immaginiamo queste “azioni” concrete. Ai professori universitari e agli insegnati di religione che insegnano evidenti eresie va revocata la Missio canonica; il che avrà come conseguenza inevitabile contrasti con le istituzioni statali così come con i gruppi di pressione della “sinistra”, ma tant’è. Sacerdoti e cappellani che con il loro insegnamento o il loro comportamento (per esempio nei confronti della eucarestia) si mettono apertamente in contrasto con la disciplina ecclesiastica, devono essere sospesi, anche se così facendo verranno a crearsi vuoti nella direzione spirituale. Non bisogna aver paura di creare dei “martiri”; c’è bisogno di precedenti, anche se poi tutto sarebbe fatto per facilitare al diretto interessato il passaggio a un mestiere secolare. A nessun candidato al sacerdozio deve essere concessa la consacrazione se non è disposto a riconoscere in modo esplicito e senza alcuna riserva i doveri del sacerdozio e accettare l’obbedienza canonica. Da escludere dai voti sono in primo luogo gli autori di dichiarazioni contro il celibato, contro gli scritti teologici del Papa e dei vescovi e, infine, i fomentatori di rivolte e ricatti all’interno dei convitti e seminari. E’ preferibile avere meno sacerdoti e occupare i posti vacanti nelle parrocchie nominando a diacono uomini più anziani, sposati, piuttosto che lasciare imboccare alle parrocchie, guidate da sacerdoti dogmatici e ribelli, l’errata via. D’ora in poi si dovrà prestare molta più attenzione alla formazione dei “teologi laici”, e anche il conferimento della Missio canonica dovrà avvenire con maggior oculatezza. Una parte di questi si ispira alla “sinistra” ecclesiastica e alimenta – consapevolmente o meno – l’insicurezza e la poca chiarezza nelle questioni di fede. A tutto il clero va inculcato che la liturgia non è un consesso di persone dove ognuno contribuisce liberamente alla sua organizzazione, ma che si tratta di una messa da celebrare secondo le regole della chiesa. Non è ammissibile, infatti, che oggigiorno ci siano sacerdoti che cambiano addirittura nella liturgia le parole della formula di rito della consacrazione. La messa in latino, che costituisce il collante della chiesa universale, non può soccombere nell’epoca di “un mondo solo”. Per questo sarebbe auspicabile che nelle chiese dove si celebrano più messe domenicali, almeno una fosse in latino. L’esperienza dimostrerà che saranno in molti ad assistervi. Vista la confusione che generano sull’essenza della chiesa, all’interno del magistero devono essere respinte parole d’ordine tipo “democratizzazione della chiesa”, “cattolicesimo critico” e altro, mentre si deve insistere sull’insegnamento che si basa sulla Lumen gentium. I princìpi della sussidiarietà e della solidarietà sono più che sufficienti per assicurarsi la partecipazione dei fedeli alla realizzazione della missione apostolica. E non si deve temere di lasciare nel vocabolario della chiesa termini come “autorità” e “obbedienza”.I movimenti che oggi mirano più a una rivoluzione della chiesa nel senso del XVI secolo, piuttosto che a un “aggiornamento”, sono al momento assai meno strutturati organizzativamente di quanto qualcuno voglia credere o tema. Il che però non autorizza a respingere in toto l’impressione fondata che questi movimenti rivoluzionari in ambito cattolico dispongano di un solido nocciolo organizzativo. Sarebbe dunque da capire – per quanto senza troppa ambizione e nemmeno troppe illusioni – la funzione delle associazioni studentesche, e se del caso intervenire prontamente: meglio smantellare delle associazioni studentesche e tornare a un unico pastore delle anime, come quattro decenni fa, piuttosto che alimentare lo smembramento della chiesa. Lo stesso vale per il Bdkj (la Federazione dei giovani cattolici tedeschi) e la scelta dei prelati responsabili dei giovani nelle diocesi e nei decanati. Infine non si può non vedere che radio e televisioni, compresa quella di emanazione ecclesiastica, sono, salvo poche eccezioni, orientate a “sinistra”. Spezzare la loro egemonia non sarà una cosa facile; ciò nonostante bisogna iniziare, in una prospettiva di lungo periodo, a esercitare una ponderata influenza, e soprattutto non bisogna limitarsi a decisioni una tantum per quel che riguarda la politica del personale, ma restare in contatto continuo con i giornalisti attraverso un rappresentante qualificato della chiesa. Le richieste di democratizzazione dei “Kirchenblätter” avanzate durante il Kirchentag di Essen, non vanno assolutamente accolte; perché se si accogliessero verrebbe a scomparire l’ultimo pezzo di stampa non dominato dalla “sinistra”, e l’ultimo strumento di informazione da parte delle autorità ecclesiastiche per i fedeli, al di fuori della chiesa.
IV. Nei parallelismi qui da noi enunciati e nelle proposte esemplificative da questi dedotte, abbiamo ovviamente tenuto conto del fatto che nel movimento ecclesiastico contemporaneo vi sono anche forti spinte religiose, esattamente come succedeva anche nel XVI secolo, in seguito al movimento nato sulla spinta di Lutero. Per entrambi questi movimenti vale la parola di sant’Agostino: “Nulla porro falsa doctrina est, quae non aliqua vera intermisceat” (Quaest. ev. II 40). [Non esiste falsa dottrina che non sia mescolata con elementi di quella vera]. Noi siamo però convinti che la Verità e la Bontà, scaturiti attraverso il Concilio, possano dare i loro frutti solo se separati nettamente dall’errore. Più si aspetterà a intervenire, a praticare una netta cesura, e maggiore sarà il pericolo che forze preziose, perché amalgamate con l’erronea visione, andranno persé. L’inevitabile conseguenza di ciò potrebbe essere non solo una scissione ma anche l’abbandono del cristianesimo. Quanto più i sacerdoti sapranno parlare chiaramente, agire risolutamente tanto più grande è la possibilità di fortificare il movimento di rinnovamento all’interno della chiesa, e dunque la chiesa stessa.
Da Il Foglio del 23 settembre 2011