Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni I a cura di Ermes Dovico

IL CASO ITALIA

Princìpi non negoziabili, quel che non si capisce

«Nell’ambito di una città, anche le scelte di carattere amministrativo, culturale ed economico dipendono da questo orientamento fondamentale».

Attualità 13_05_2011
elezioni

Che i principi non negoziabili non esauriscano il bene comune e la dottrina sociale della Chiesa è evidente, e lo ha spiegato Andrea Tornielli alcuni giorni fa su La Bussola Quotidiana commentando i recenti interventi del Papa a Venezia. Tuttavia è altrettanto evidente che il bene comune è caratterizzato da un insieme di principi ordinati gerarchicamente fra loro in un corpo dottrinale che poi si declina all’interno di un contesto storico. Quindi una cosa è trattare teoreticamente dell’insieme dei principi che costituiscono il corpo della dottrina sociale della Chiesa, un’altra cosa è difendere quei principi particolari quando vengono contestati in un periodo storico particolare. E in questo caso il Magistero della Chiesa indica ai fedeli cattolici non soltanto quali sono i principi e come devono essere ordinati gerarchicamente fra loro, ma anche come e perché devono essere difesi, soprattutto alcuni principi, quando vengono contestati in una determinata epoca storica.


Il Magistero e i principi non negoziabili
Il Magistero oggi afferma che vi sono principi appunto che non possono essere oggetto di negoziazione, fra i quali “emergono soprattutto i seguenti” (così espressamente disse Benedetto XVI il 30 marzo 2006 rivolgendosi a esponenti del Partito popolare europeo): tutela della vita dal concepimento alla morte naturale; promozione della famiglia basata sul matrimonio fra un uomo e una donna, così introducendo anche tutte le tematiche relative all’ideologia di genere; diritto dei genitori di educare i propri figli.


Perché emergono oggi? Perché oggi sono contestati e minacciati, da pochi decenni vi sono leggi in quasi tutti i Paesi d’Occidente che hanno legalizzato divorzio e aborto, e soprattutto oggi, dopo il 1968 per la verità, esiste una cultura che favorisce il disprezzo della famiglia fondata sul matrimonio e solo oggi esiste una congiura contro la vita che si esprime nelle legislazioni abortiste e a favore dell’eutanasia.


Per questo motivo la Congregazione per la dottrina della fede nel novembre del 2002, in una Nota sull’impegno politico dei cattolici, indicava in questi principi non negoziabili il criterio di scelta elettorale dei cattolici. Criterio di scelta vuole dire che in tutte le elezioni, sia politiche sia anche amministrative come spiega bene sempre su La Bussola Quotidiana l'arcivescovo di Trieste mons. Crepaldi, il cattolico dovrebbe anzitutto chiedersi come pensano o che cosa hanno fatto su questi temi i candidati. Una piccola associazione di giovani milanesi, Nuove Onde, negli ultimi anni ha prodotto un sussidio elettorale utilissimo spiegando come i candidati si erano precedentemente comportati appunto sui tre temi, vita, famiglia, libertà di educazione. Il problema non è solo italiano, tanto è vero che il card. Ratzinger, nel 2004, come ricorda in una nota trasmessa al card. Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington, e al Presidente della conferenza episcopale Usa mons. Gregory, scriveva che un cattolico può avere un’opinione diversa dal Papa in materia di liceità di una guerra o sulla pena di morte, ma non in tema di aborto o di eutanasia.

Il caso Italia
Tuttavia il problema si ripresenta in Italia ogniqualvolta ci sono le elezioni. Probabilmente molti dubbi fra i fedeli verrebbero superati se i vescovi e i parroci spiegassero meglio il criterio dei principi non negoziabili ai loro fedeli; si tratterebbe di aiutare a scegliere bene, come ha detto il Papa a Venezia l’8 maggio: “Nella storia bisogna scegliere: l’uomo è libero di interpretare, di dare un senso alla realtà, e proprio in questa libertà consiste la sua grande dignità. Nell’ambito di una città, qualunque essa sia, anche le scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare “politico” nell’accezione più nobile e più alta del termine”. Invece questo non accade. I più anziani vivono ancora nella nostalgia della Dc, quando vigeva il sistema elettorale proporzionale e si votava per appartenenza ideologica. I partiti di massa raccoglievano appunto il voto delle rispettive masse, le quali non si ponevano troppi problemi politici, votavano e basta.

Caduto il Muro di Berlino nel 1989, venuti meno i partiti ideologici di massa, la vicenda politica si è molto complicata, iniziando una eruzione vulcanica che non si è ancora stabilizzata. Per circa 50 anni, durante la Prima repubblica, gli spostamenti dei voti sono stati esigui ed erano frutto di mutamenti culturali, come avvenne soprattutto dopo il 1968. Invece, dalle elezioni del 1993 a Roma poi del 1994 a livello nazionale con la prima vittoria di Berlusconi, ci sono stati continui cambiamenti di cartelli elettorali, sono sorte nuove sigle, anche se il Paese rimane sostanzialmente diviso in due componenti numericamente simili, una conservatrice e l’altra progressista.

Oggi, quindi, non dovrebbe essere difficile comprendere che il principale compito dei cattolici, diventati una minoranza in Italia anche se corposa, dovrebbe essere quello di promuovere questi principi fondamentali e irrinunciabili votando coloro che offrono maggiori garanzie di difenderli. E questo dovrebbe avvenire sia a livello di scelta di schieramento o coalizione, sia dei partiti che sostengono le diverse coalizioni, sia, dove il sistema lo consente, dando il voto di preferenza del candidato, fosse pure in un minuscolo Consiglio di zona.

Quasi tutti gli analisti accusano la politica italiana di essere esclusivamente concentrata su Berlusconi, i suoi pregi per alcuni e i suoi difetti per altri. L’esperienza, purtroppo, trova conferma anche fra i cattolici. Difficilmente capita di percepire che il criterio di scelta del voto e del candidato sia legato ai valori che dovrebbero fondare la convivenza di una comunità, perché quasi subito, in ogni discussione, si arriva alla personalizzazione. Questo è il segno di una sudditanza culturale: non riusciremo mai a imporre all’agenda della politica i principi fondamentali del bene comune se non ci crediamo neppure noi, e non scegliamo a chi dare il nostro voto soprattutto, partendo appunto dai principi non negoziabili.