Principi non negoziabili, federalismo, governabilità
I «principi non negoziabili» sono il terreno dell’unità politica dei cattolici. Che discutono anche di federalismo e governabilità, senza troppe nostalgie per «grandi centri» e partiti unici.
Nel clima confuso in cui versa la politica italiana, con le accuse reciproche, i personalismi, il clima quotidiano di conflitto che vede tutti contro tutti, a farne le spese, è, come al solito, il Paese. Comunque vada a finire il prossimo 14 dicembre, le elezioni, anche se non nell’immediato, sono una prospettiva ormai all’orizzonte. E in questa fase diventano cruciali le mosse dei cattolici presenti nei vari partiti e schieramenti.
Lo scorso 14 ottobre, aprendo a Reggio Calabria i lavori della 46ma Settimana Sociale, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha ricordato che i principi «non negoziabili» indicati dal Papa «non sono divisivi, ma unitivi ed è precisamente questo il terreno dell’unità politica dei cattolici». «È questa – ha spiegato il cardinale – la loro peculiarità e l’apporto specifico di cui sono debitori. Su questa linea, infatti, si gioca il confine dell’umano. Su molte cose e questioni ci sono mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili, non sono quantificabili, pena essere negati».
Ma se la difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione sono il terreno dell’unità politica dei cattolici, i cattolici s’interrogano anche su altri temi cruciali per la vita del Paese. Nel suo intervento conclusivo al Forum del Progetto culturale dedicato all’unità d’Italia, il 4 dicembre scorso il cardinale Camillo Ruini, già presidente della Cei, parlando del sistema politico e istituzionale italiano, ha detto: «Una delle ragioni della scarsa riformabilità è l’altrettanto difficile governabilità».
«Mi limiterò a considerare questo problema – ha aggiunto – nel suo aspetto apicale, cioè al vertice del sistema-paese. Avendo seguito in maniera costante e partecipe le vicende della politica italiana dall’ormai lontano 1948, posso dire che mai, nemmeno nelle situazioni che avrebbero dovuto essere più favorevoli, come ad esempio quelle dei governi De Gasperi dopo le elezioni del ‘48, l’esecutivo ha goduto nell’Italia repubblicana di una vera e sicura stabilità: è questo un elemento di debolezza relativa dell’Italia in confronto agli altri grandi paesi europei. Perciò, pur tenendo ben presente il chiaro monito della Centesimus annus (n. 47) che “La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale”, ritengo, come opinione puramente personale, che un contributo al funzionamento del nostro sistema politico potrebbe venire da un rafforzamento istituzionale dell’esecutivo, naturalmente nel pieno rispetto della distinzione tra i poteri dello Stato».
Ruini ha anche affermato che «per la medesima ragione» gli «sembra importante mantenere, in una forma o nell’altra, un sistema elettorale di tipo maggioritario». E ha anche accennato al federalismo: «Nella stessa direzione sembra spingere l’attuazione del federalismo: da una parte esso corrisponde alla ricchezza pluriforme della realtà storica, sociale e civile italiana e può contribuire a una più forte responsabilizzazione delle classi dirigenti locali; dall’altra parte, per non nuocere all’unità della nazione, il federalismo non solo deve essere solidale, ma va bilanciato con una più sicura funzionalità del governo centrale».
Queste posizioni non sono affatto isolate. Proprio sul federalismo e sulla governabilità hanno a lungo dibattuto i delegati della Settimana Sociale di Reggio Calabria. Il federalismo, ha osservato Lucia Fonza Crepaz nella relazione finale, «non possiamo più chiederci se accettarlo o meno: c’è! Dal 2001 è una realtà avviata nel nostro paese. E su questo abbiamo bisogno di informazione e di partecipazione per “abitare” queste scelte che ormai fanno parte della nostra storia nazionale!» Dal confronto alla Settimana Sociale è emerso un «duplice bivio»: a seconda delle scelte «si può fare del federalismo una lotta agli sprechi, con una responsabilizzazione della spesa di chi ha potere decisionale e con una responsabilizzazione del cittadino per un controllo più deciso, oppure può far passare da un centralismo statale ad un nuovo centralismo a livello regionale, tra il resto semplificando la presa dei poteri forti».
E ancora, «a seconda delle scelte e dell’attuazione si può farne un modo diverso di pensare l’unità del paese, un’opportunità di una nuova unione, oppure una nuova frattura ancora più insanabile tra nord e sud». Come fare? Occorre «qualificare il federalismo con due aggettivazioni: sussidiario, con una sussidiarietà verticale e orizzontale ugualmente sviluppate con corpi intermedi forti che controllino e collaborino, assieme a sussidiario, anche solidale».
Della necessità di maggiore governabilità e di maggiore potere decisionale aveva invece parlato il documento preparatorio della Settimana Sociale Doc preparatorio settimane sociali: «La ricerca di un nuovo equilibrio tra lo spazio politico e quello delle altre funzioni sociali non contraddice la richiesta di una maggiore capacità decisionale delle istituzioni politiche e della corrispondente responsabilità. Istituzioni politiche più forti, più articolate e più facilmente valutabili sono essenziali al processo di crescita di una società che si vuole più ricca e più aperta e sono anche capaci di una relazione più certa e stabile con le molteplici forme di espressione della domanda sociale».