Primo giro a carte coperte, il governo è in salita
Le consultazioni iniziate ieri al Quirinale saranno un giro più che altro perlustrativo e non produrranno effetti particolari. Poi dovrà esserci un secondo giro, solo allora Mattarella svelerà le carte. Sullo sfondo un richiamo universale alla responsabilità. con la scusa che ce lo chiede l'Europa.
Sarà un giro più che altro perlustrativo e non produrrà effetti particolari quello iniziato ieri dal Capo dello Stato. Sergio Mattarella ha incontrato per primi i presidenti delle due Camere, il Presidente Emerito, Giorgio Napolitano e alcune delegazioni di partiti minori, tra cui Fratelli d'Italia, mentre oggi vedrà al mattino Pd, Forza Italia e Lega e nel pomeriggio i Cinque Stelle.
Le forze politiche giocano ancora a carte coperte e, al di là delle esternazioni ufficiali, non lasciano trapelare le loro vere intenzioni. Prendono tempo e preferiscono scrutare l’orizzonte per capire fin dove gli avversari sono disposti a cedere rispetto alle posizioni iniziali. Si tratta, quindi, di giornate interlocutorie, che non avvicinano in alcun modo alla soluzione del rebus per la formazione del governo e che forse riescono soltanto ad allontanare definitivamente le ipotesi già considerate remote.
Probabilmente neppure il Presidente della Repubblica ha ancora ben chiaro il possibile approdo delle sue consultazioni, perché il risultato delle urne, per quanto abbia decretato la vittoria di Cinque Stelle e centrodestra (in particolare della Lega), non ha prodotto maggioranze chiare e nette. Occorreranno dei compromessi con inevitabili rinunce da parte di qualcuno. Ma di chi?
Lega e Cinque Stelle non hanno alcun interesse ad accelerare perché sanno che, in caso di stallo permanente e di ritorno anticipato alle urne, avrebbero tutto da guadagnare. Opposto il ragionamento di Pd e Forza Italia, usciti malconci dal voto di un mese fa, e terrorizzati dall’idea di doversi nuovamente sottoporre al giudizio degli elettori. Ma nel gioco delle parti sono proprio azzurri e dem a ostentare forza e distacco e a rilanciare la palla nel campo dei due partiti vincitori.
Mentre Matteo Salvini preferisce prendere tempo fino alle elezioni regionali in Friuli (dove il 29 aprile potrebbe diventare governatore il suo fedelissimo Massimiliano Fedriga) e Molise (si vota il 22 aprile), che potrebbero rafforzare il suo potere contrattuale dentro il centrodestra e presso il Quirinale, Luigi Di Maio punta al logoramento dell’alleanza tra Forza Italia e Lega, per poi costringere il leader del Carroccio ad accettare un esecutivo da lui guidato.
Tale ipotesi, però, non appare praticabile, per la semplice ragione che l’obiettivo di Salvini non è quello di essere subalterno ai Cinque Stelle ma di diventare il leader del suo schieramento, per poi lanciare la scalata a Palazzo Chigi, anche eventualmente nella prossima legislatura. Pertanto, nella girandola delle previsioni degli addetti ai lavori, si fa strada anche quella di un governo Cinque Stelle-Lega con un nome di garanzia come Presidente del Consiglio e i due leader di partito come vicepresidenti. Ovviamente si tratterebbe di un governo di decantazione finalizzato ad assicurare al Paese una guida di un anno al massimo, a tranquillizzare i mercati e a varare le leggi fondamentali, quella di stabilità e quella elettorale.
Nel frattempo i grillini si accrediterebbero come i veri moralizzatori presso l’opinione pubblica, tagliando vitalizi e costi della politica, grazie anche alla determinazione in tal senso del neo-presidente della Camera, Roberto Fico, e guadagnerebbero ancora consensi. Fra un anno, il 26 maggio, in concomitanza con le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, si potrebbe quindi tornare al voto anche per le elezioni politiche con un sistema elettorale in grado di garantire governabilità, grazie ad un premio di maggioranza.
Altro scenario possibile è rappresentato dal governo di “quasi tutti”, con Forza Italia e Pd che appoggerebbero dall’esterno un esecutivo Lega-Cinque Stelle oppure che entrerebbero nel governo con propri uomini di area ma non strettamente etichettati. In questo modo sarebbe formalmente rispettato il veto di Di Maio su Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma tutte le forze politiche potrebbero contribuire, su invito di Mattarella, alla ridefinizione delle regole per il prossimo voto politico, che a quel punto non potrebbe arrivare dopo il 2019.
La strada di un esecutivo tra Cinque Stelle e Pd appare impraticabile per ragioni numeriche. Soltanto l’appoggio compatto e convinto dell’intera pattuglia parlamentare dem potrebbe consentire a Di Maio di andare a Palazzo Chigi. Se invece i renziani restassero sulla linea dell’Aventino, i numeri mancherebbero. Quindi, se anche Andrea Orlando, Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Francesco Boccia e altri filo-governisti decidessero di accogliere il probabile appello del Quirinale ad una corresponsabilità governativa, senza Matteo Renzi e i suoi non ci sarebbe maggioranza. Non basterebbe neppure l'annunciato soccorso di Piero Grasso, stante l'esiguo bottino elettorale di Leu.
Mattarella, dal canto suo, non appare intenzionato a forzare le tappe della riflessione all’interno delle forze politiche. Forse vuole anche lui allungare strategicamente i tempi delle trattative, per poi arrivare, in caso di invincibile impasse, a un richiamo “universale” al realismo, con un messaggio che in passato ha sempre funzionato: "Non possiamo permetterci di non avere per troppo tempo un governo. L’Europa ce lo chiede". A quel punto nessuno potrebbe tirarsi indietro.