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BARCELLONA

Prete calunniato per un figlio segreto: cardinale nei guai

L'Arcivescovo di Barcellona, cardinale Josè Omella, è indagato per un grave reato: avrebbe falsificato dei documenti redatti da vescovi spagnoli che scagionavano un prete dall'accusa di aver avuto un figlio da una donna. Quel prete oggi è stato ridotto allo stato laicale e ha denunciato Omella, che ora dovrà comparire davanti alla giustizia spagnola per un reato che prevede sei anni di carcere. Gli strani intrecci che portano a Roma fino al cardinal Stella. 

Ecclesia 06_07_2019

Il 12 luglio prossimo l’attuale arcivescovo di Barcellona, il cardinale Juan José Omella dovrà rispondere in tribunale, come indagato, per un reato che, se confermato, potrebbe costargli molto caro e persino obbligarlo a lasciare il suo incarico. L’ Art. 392,1 del Codice penale spagnolo punisce chi in un atto pubblico modifichi un documento o simuli un documento in  maniera che induca in errore sulla sua autenticità. Il responsabile è punibile con pena detentiva da sei mesi a tre anni.

L'attore della denuncia contro il cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, è un sacerdote, Miguel Angel Barco, presunto capro espiatorio di una cospirazione tra chierici e cardinali in Spagna e Roma, che si è conclusa con il brusco abbandono del suo incarico a Saragozza da parte dell’arcivescovo Manuel Ureña nel 2014.

Miguel Angel Barco è stato ridotto da Omella allo stato laicale, perché ritenuto responsabile di aver avuto un figlio con una ragazza. Ma, sostiene Barco, Omella è responsabile di aver nascosto le dichiarazioni del successore di Ureña presso la sede di Saragozza, monsignor Vicente Jimenez, e anche di aver respinto alcune prove utili a confutare la paternità di Miguel Angel Barco su una ragazza. Prove riconosciute davanti al Tribunale di Alcala de Henares, su richiesta della madre della ragazza, dallo stesso vescovo Juan Antonio Reig di Alcalá, da cu dipendeva M. A. Barco in quel momento. 

In tutta questa trama oscura, concorre il fatto che Omella è stato collaboratore diretto dell’amico gesuita spagnolo del Papa German Arana, rettore del Pontificio Seminario a Comillas dei gesuiti a Madrid, per raccogliere informazioni contro monsignor Ureña e contro M.A. Barco il perno attorno al quale ruotavano gli argomenti contro l'arcivescovo di Saragozza, obbligato alle dimissioni cinque anni prima del tempo. In pratica i legali del sacerdote che ha portato Omella davanti alla giustizia laica accusano il cardinale Omella di “intenzione maliziosa”, di danneggiare la persona di Miguel Angel Barco , una “intentio damnanti”; risulterà dall’inchiesta che Omella avesse volutamente impedito qualsiasi difesa efficace contro le accuse eventualmente presenti nella Congregazione del Clero, a Roma.

Miguel Angel Barco ha spiegato, supportato da tutti i documenti con firme ratificate da monsignori che, se quelle prove fossero state inviate a Roma, Roma non avrebbe potuto redigere la condanna contro di lui. Il cardinale che ha firmato la condanna del Vaticano è il Prefetto della Congregazione per il Clero, il Cardinale Beniamino Stella, che secondo voci della Chiesa in Spagna ha guidato dall'ombra l’operazione di dimissioni di Urena.

La difesa di Barco conclude che "queste accuse sono state fatte con la consapevolezza della loro falsità e con sconsiderato disprezzo per la verità. (...) c'è il fondatissimo sospetto che l'autore delle false accuse contro il denunciante sia monsignor Omella, dal momento che secondo il canone 1718 del Codice di diritto canonico della Chiesa cattolica appartiene al vescovo locale aprire l'inchiesta per delitto ecclesiastico (Jiménez di Saragozza, o Reig de Alcalá come diocesi di origine), ed essi hanno negato ogni accusa contro Barco. Ureña a sua volta avrebbe negato di aver fatto una dichiarazione con la quale Barco veniva accusato”.

Come leader di una confessione religiosa, Omella sarebbe punito dal comma 2 dell'articolo 390 e avendo egli agito al di fuori dei rigorosi limiti della sua competenza, il crimine rientra nelle disposizioni dell'articolo 392,1 con l'aggravante 7 dell'articolo 22: "Approfittare del carattere pubblico che ha il colpevole". Secondo Periodista Digital alla pena da 6 mesi a tre anni, si aggiungerebbe per Omella la decadenza dalla carica di arcivescovo.

Il Vicario giudiziale di Omella, Santiago Bene, ha ammesso la conoscenza di tali documenti della diocesi di Alcalá che smontavano l'accusa nei confronti di Barco, sostenendo che Omella non li aveva considerati, perché "non era interessato". È difficile capire le ragioni di questo intrigo. Quello che sembra certo è che se M.A. Barco è stato dichiarato innocente, potrebbe venire alla luce che non vi era alcun motivo per costringere Manuel Ureña a rinunciare.