Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico

SIRIA

Preghiera per la pace in Siria il sogno possibile

Il terzo round di negoziati a Ginevra, per una soluzione politica della guerra civile siriana, si preannuncia difficile sin da subito. Ma non impossibile. Contrariamente agli altri due incontri, questa volta tutte le parti in lotta sanno di avere molto da perdere. In questo contesto diventa ancor più significativo l'invito alla preghiera delle comunità cristiane e la giornata di preghiera e digiuno di Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Esteri 02_02_2016
Siria, chiese nel mirino

Siamo passati dal «vengo oppure non vengo» al «ci sono, ma non ci sono». È cominciato con questa svolta non esattamente esaltante, a Ginevra, il minuetto intorno al negoziato convocato dall'Onu con l'ambiziosissimo obiettivo di arrivare a un accordo di pace sulla Siria. Il terzo tentativo del genere che va in scena al Palazzo delle Nazioni, ormai quasi alla vigilia del quinto anniversario dall'inizio della guerra. 

A dire la verità stavolta è stata un'impresa anche solo cominciare: l'Alto comitato dei negoziati - sigla nuova di zecca creata per l'occasione dall'opposizione siriana - è rimasto riunito fino a venerdì a Riyad (guarda caso) prima di sciogliere la propria riserva. Su pressione di Washington alla fine la delegazione a Ginevra è arrivata e ieri pomeriggio ha avuto il primo incontro con l'inviato dell'Onu per la Siria, Staffan de Mistura. Anche se a Palazzo delle Nazioni - il quartier generale dell'Onu - il capo-delegazione Mohammed Allouche, esponente della formazione islamista Jaish al-Islam, ancora non si è visto (è arrivato a Ginevra solo ieri sera). Un passo avanti e uno di fianco, dunque; per non mollare subito le richieste pregiudiziali poste dai filo-sauditi per avviare i colloqui: allentamento dell'assedio alle città controllate dai ribelli, stop ai raid aerei russi, scambio di prigionieri.

Difficilmente otterranno tutto, ma qualcosa probabilmente sì: a tarda sera l'Ocha, l'Ufficio dell'Onu per le questioni umanitarie, ha annunciato che il governo di Damasco ha autorizzato un nuovo convoglio di aiuti per Madaya (la città assediata dall'esercito siriano e dalle milizie Hezbollah) a condizione che simultaneamente le porte si aprano anche Kafraya e Foua (che sono altre due località, assediate però dalle milizie ribelli). Che l'operazione vada in porto oppure no, le due ore di colloquio di ieri con l'opposizione siriana targata Riyad sono comunque bastate a Staffan de Mistura per annunciare che i colloqui sono ufficialmente iniziati. E che oggi tornerà a incontrare la delegazione del governo di Damasco, ancora separatamente. Si andrà avanti così, su tavoli separati, e a lungo: memori del fiasco di Ginevra 2 - l'analoga conferenza di inizio 2014 con entrambe le parti riunite insieme ma solo per accusarsi pubblicamente davanti alle telecamere - l'Onu ha optato per una formula in cui è de Mistura a fare la spola tra le delegazioni. In forza della risoluzione votata dal Consiglio di sicurezza nel mese di dicembre nell'arco di sei mesi vorrebbe arrivare a un cessate il fuoco, premessa a un accordo che conduca la Siria alle elezioni.

Si tratta di un minuetto che sarà lungo, quindi. E anche con altri danzatori dentro e fuori dal palco: per il momento restano esclusi i curdi, contro i quali la Turchia ha posto il solito veto. La cosa ha fatto infuriare il Consiglio democratico siriano, altra sigla formata dalla (piccola) parte dell'opposizione siriana alleata con il partito curdo-siriano dello Ypg. A loro l'inviato dell'Onu ha recapitato un invito selettivo: al tavolo potete venire, ma a condizione che nella delegazione ufficiale non vi siano curdi. Ora minacciano di andarsene loro.

Tutto questo dice da solo che razza di rompicapo sia questa Ginevra 3. Attenzione, però, a derubricarla troppo in fretta a operazione solo di facciata. Perché sì, è vero, le parti in causa sono tra loro lontane, ciascuno persegue i propri interessi. Ma c'è un elemento che stavolta fa la differenza: al contrario delle altre volte, tutti hanno qualcosa da perdere in un fallimento del negoziato. E in particolare l'Arabia Saudita e la Turchia, che fanno la voce grossa ma contemporaneamente assistono alla lenta avanzata delle truppe di Assad nell'area a nord di Aleppo, sostenuta dall'aviazione russa. Vedono che sul campo di battaglia il pendolo ora non oscilla più dalla loro parte.

Nessuno, oggi, può permettersi di mandare all'aria il tavolo a cuor leggero. E in questo quadro, allora, si capisce meglio anche l'attentato contro il santuario sciita a Damasco, compiuto domenica dall'Isis. Una strage per far vedere che - Ginevra o non Ginevra - loro sono in grado di colpire ovunque in Siria. Anche se con l'arma degli attentati terroristici e non più con le colonne di milizie impantanatesi oggi anche a Deir Ezzor, l'obiettivo per loro apparentemente più facile. 

Alla luce di tutto questo diventa ancora più significativo l'invito alla preghiera che giunge dalle comunità cristiane di queste terre martoriate, che sanno bene chi soffrirebbe di più in un negoziato trascinato in lungo senza risultati concreti. L'Aiuto alla Chiesa che Soffre ha indetto per il prossimo 10 febbraio - mercoledì della Ceneri - una nuova giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria e in Iraq. A sollecitare l'iniziativa sono stati il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako e il patriarca melchita Gregorio III Laham.

«Aiuto alla Chiesa che Soffre è come una madre per noi cristiani di Siria e Iraq - hanno scritto i due presuli in un appello, diffuso ieri dall'Acs -. Senza di voi, molti di noi sarebbero morti o sarebbero già emigrati. Abbiamo estremo bisogno del vostro aiuto, ma quello che vi chiediamo ora è la misericordia. Pregate e digiunate affinché il Signore abbia misericordia di noi». 

Dall’inizio della crisi siriana Aiuto alla Chiesa che Soffre ha realizzato progetti a sostegno della popolazione di Siria e Iraq per un totale di 27 milioni e 670mila euro. Ma non è solo l'aiuto economico ciò che oggi sta a cuore ai cristiani del Medio Oriente. «Da cinque anni ormai continuiamo a camminare nel deserto - scrive il patriarca melchita Gregorio III Laham -. Assistiamo alle atroci sofferenze dei bambini, all'agonia dei loro genitori e siamo costantemente circondati dall'odio e dalla morte. L’unico nostro desiderio è di tornare a vivere in pace. In questa Quaresima, portate la nostra Croce come Simone di Cirene ha fatto con Gesù».

«Avete fatto tanto per noi - gli fa eco il patriarca caldeo Raphael I Sako - ora vi chiedo: pregate e digiunate perché possiamo rimanere nella nostra amata patria e perché chi l’ha già lasciata possa farvi ritorno. Così che in questa Pasqua, nella terra di Abramo, i cristiani possano finalmente, risorgere dalle ceneri».