Pregare davanti agli abortifici non è reato: sentenza importante
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Un giudice spagnolo ha assolto i volontari di 40 giorni per la vita a processo per aver pregato davanti ad una clinica per aborti. Sancito un principio giuridico importante.
Nonostante la confusione regni e gli scandali del Premier Sanchez e dei suoi partigiani socialisti, offuschino ogni giorno la politica e la società spagnole, una buona notizia emerge: esiste un giudice giusto in Spagna. I volontari spagnoli di “40 Giorni per la Vita”, parte della rete globale di cattolici e cristiani evangelici che dimostrano la loro passione per la vita del concepito pregando fuori dalle cliniche abortiste di ogni parte del mondo, denunciati nel 2022 per aver pregato fuori da una clinica abortista di Vitoria (paesi Baschi), sono stati assolti dalle accuse.
Il giudice ha ritenuto che abbiano manifestato «in modo estremamente pacifico» e che non vi sia stato reato di coercizione, come prevedeva invece la legge voluta da Sanchez e dalla sua coalizione di comunisti e sicari. Si tratta della Legge Organica 4/2022 che punisce con la reclusione chiunque molesti le donne che si recano nelle cliniche abortive, comprese le preghiere o le manifestazioni, se considerate una coercizione o una forma di molestia che disturba la loro libertà.
I fatti giudicati hanno avuto luogo tra il 28 settembre e il 6 novembre 2022, quando diversi volontari della campagna "40 Giorni per la Vita" furono denunciati per aver pregato nei pressi di una clinica per l'aborto. Pochi giorni dopo, un giudice raccolse le loro dichiarazioni e, a scopo precauzionale, proibì loro di avvicinarsi a meno di 100 metri dalla clinica. La denuncia è stata estesa a diverse altre persone e non c'è stata alcuna sentenza giudiziaria fino a martedì 9 dicembre. Il giudice ha respinto dunque le ragioni addotte nella causa promossa dalla clinica abortista, che chiedeva una pena detentiva di cinque mesi per tutti i volontari oranti, eventualmente sostituita da 75 giorni di lavori socialmente utili, oltre a un risarcimento di 20.000 euro.
Al contrario, il Tribunale Penale Numero 1 della città di Vitoria, ha stabilito come i manifestanti abbiano manifestato «in modo assolutamente pacifico» senza alcun intento o effetto coercitivo della volontà delle ragazze e donne che volevano abortire, nè impedimenti a recarsi nella clinica. I tre argomenti esposti dal magistrato Beatriz Román, autore della sentenza, sono molto chiari e semplici:
- Libero diritto di riunione. Gli imputati «non hanno fatto altro che esercitare il loro libero diritto di riunirsi, scegliendo un luogo vicino a una clinica dove si praticano aborti. Hanno ritenuto che esprimere le loro rivendicazioni in quel luogo e nel modo in cui lo hanno fatto fosse il modo più appropriato per far arrivare il messaggio che vogliono trasmettere – pregare per la vita e offrire il loro aiuto – direttamente ai destinatari principali»;
- In modo “pacifico”. Tutto ciò, aggiunge il magistrato, è stato comunicato correttamente all'autorità competente ed è stato realizzato in silenzio in modo «squisitamente pacifico»;
- Non ci sono state offese né pressioni nei confronti dei lavoratori o delle madri che si recano al centro abortivo.
Una sentenza che è anche una pietra miliare giuridica, in quanto si tratta del primo processo di questo tipo celebrato in Europa e sostiene la tesi sostenuta dalla difesa: gli imputati si sono limitati a pregare in silenzio e a manifestare il loro sostegno alla vita, senza insultare né esercitare pressioni sui lavoratori o sugli utenti del centro. E’ molto probabile che la Sentenza di primo grado venga impugnata dinanzi alla Corte Provinciale di Álava da parte della clinica di Vitoria, ma anche da organizzazioni e multinazionali pro aborto dell’intero continente europeo, oltre che dal Pubblico Ministero.
Ciononostante, la decisione della giudice Román invia un messaggio chiaro: la preghiera pacifica, rispettosa e silenziosa, anche davanti a una clinica abortiva, rientra nell'ambito delle libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione, mentre rimane molto colpicato dimostrare come semplici preghiere silenziose possano costituire «molestie» o «persecuzioni» o che ci sia coercizione alcuna, visto le poche persone riunite in ogni turno di orazione fuori dalla cliniche. C’è dunque giustizia in Spagna, non solo quella che pervicacemente sta emergendo e svelando le fitte trame corruttive del premier Sanchez e del suo partito socialista, ma anche una giustizia che applica la legge senza interpretazioni illiberali e anticristiane.


