CONFERENZA A CANCUN
Politiche del clima al palo Vince solo la burocrazia
Dopo la Conferenza di Cancun, una domanda: ma vale la pena continuare con queste adunate oceaniche?
Attualità
10_12_2010
Politiche climatiche al palo, burocrazia in ottima salute, clima non pervenuto. Così si potrebbero riassumere gli ultimi anni di estenuanti negoziati sul clima, giunti al culmine della parabola lo scorso anno a Copenhagen e in visibile fase discendente quest’anno a Cancun.
Con un elemento di novità non indifferente. Rispetto al battage mediatico ed alle grandi aspettative della precedente conferenza delle parti della Convenzione Quadro ONU sui cambiamenti climatici, questa volta si è preferito puntare a un obiettivo basso per scongiurare l’ennesimo clamoroso insuccesso. La storia inizierebbe molti anni fa, ma per comodità si può prendere come punto di partenza il 2007, l’anno in cui è stato pubblicato il 4° rapporto del panel ONU sui cambiamenti climatici (IPCC), seguito a ruota dal rapporto Stern, il documento che ha sancito il collegamento tra variazioni climatiche e PIL del pianeta. Neanche a dirlo, se cambia il primo e lo fa per cause antropiche, crolla il secondo. A seguire la conferenza di Bali, dove furono consolidate le candidature al Nobel per la pace di Al Gore, impegnatissimo nella comunicazione climatica, ma anche nella monetizzazione della stessa, e dello stesso IPCC.
Poi qualcosa si è inceppato, qualcosa che neanche i più capaci elaboratori di previsioni avrebbero potuto prevedere, è arrivata la crisi della finanza globale. Con i cordoni della borsa non ancora del tutto chiusi ma in procinto di esserlo, qualcuno ha ritenuto opportuno scendere un po’ di più nel dettaglio, per capire se sforzi tanto importanti per il processo di de-carbonizzazione come quelli ad esempio richiesti dall’adempimento del protocollo di Kyoto, fossero in effetti sostenuti da adeguati livelli di comprensione scientifica del problema.
E così, forse per caso, più probabilmente no, appena prima di Copenhagen è esploso il climategate, la pubblicazione fraudolenta delle comunicazioni private che un ristretto ma importante gruppo di scienziati si scambiava per mantenere ben saldo il consenso a supporto di questa febbrile attività negoziale, derogando alle regole base della pratica scientifica, la condivisione dei dati ed il pubblico dibattito. E così, inaspettatamente ma anche inevitabilmente e con la complicità di una congiuntura economica a dir poco sfavorevole, è stata messa a nudo anche la spericolatezza delle generose politiche incentivanti che più o meno tutti avevano nel frattempo messo in campo per sostenere delle tecnologie rinnovabili ancora purtroppo bel lungi dall’essere mature e quindi di qualche utilità.
Tuttavia, paradossalmente, questa presa di coscienza, che tutti i governi stanno interpretando riducendo sensibilmente le risorse destinate, arriva proprio dove in realtà il processo di de-carbonizzazione forzosa è già iniziato, ossia nel Vecchio Continente. In un quadro così complesso, il profilo basso a Cancun era ed è obbligato, ma in presenza di un ennesimo nulla di fatto, viene da chiedersi a cosa servano queste adunate oceaniche di delegati, se non a mantenere in piedi un immenso sistema burocratico che, fedele al suo stile, viaggia completamente scollegato dalla realtà.
Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare, in verità nei giorni scorsi un colpo di scena pareva esserci stato: la Cina, ormai leader in tutti i settori, compreso quello delle emissioni di gas serra antropici, aveva fatto sapere di essere disposta a un accordo che vedesse una riduzione volontaria delle emissioni stesse. Una svolta epocale? No, un errore di traduzione, il dragone non è disposto a fare niente più di quello che fa, ossia costruire una centrale a carbone a settimana e con quell’energia badare a sé e produrre gran quantità di pannelli fotovoltaici da vendere all’occidente che, con questo, può dire addio alla possibilità di tradurre in business lo sforzo ambientale – la crisi del settore rinnovabile in Germania, Spagna e Paesi Bassi insegna - perché assolutamente non competitivo sul mercato globale.
Sarà per questo che il Giappone al secondo giorno di negoziati ha ufficialmente dichiarato la sua indisponibilità a qualsiasi genere di accordo che si sostituisse al protocollo di Kyoto alla sua scadenza? Probabile. Mentre scriviamo la conferenza è agli sgoccioli, la più facile delle previsioni è quella che vedrà l’ennesimo “ci vediamo alla prossima”, che per inciso sarà in Sud Africa tra un anno. Nel frattempo la burocrazia prospera e produce centinaia di migliaia di pagine incomprensibili ai più, dense di trasparente impenetrabilità, dalle quali si evince solo che nascono entità, gruppi, uffici, centri di analisi, comitati e chi più ne ha più ne metta, alla velocità della luce, con i delegati che sono una moltitudine silente, pronta ad avallare qualunque genere di proposta o decisione, compresa quella – è successo davvero - di firmare una petizione per l’abolizione dell’ossido di idrogeno, sostanza largamente presente in natura e altamente pericolosa se ingerita in grandi quantità o se utilizzata a contatto con impianti elettrici. L’acqua. D’accordo, è stato uno scherzo un po’ cinico, ma si suppone che chi gira il mondo per discutere di clima dovrebbe almeno possedere le basi del mestiere.
Sicché appare sempre più probabile che questo mestiere con il clima e l’ambiente abbia poco a che fare: “La politica del clima non ha più nulla a che fare con la salvaguardia dell’ambiente. Il futuro summit climatico di Cancun, sarà in realtà un summit economico, durante il quale sarà negoziata la redistribuzione delle risorse mondiali”, ha dichiarato Ottmar Edenhofer, economista e co-chair del Working Group III dell’IPCC pochi giorni prima dell’inizio del summit. Per cui, clima non pervenuto. E questo è un bene, perché spiegare al mondo che da dieci anni o più il clima non collabora e le temperature hanno smesso di aumentare non è semplice.
Anche se dai centri di raccolta dei dati, uno in particolare, quello stesso del climategate, ci fanno sapere che il 2010 sarà l’anno più caldo di sempre prima ancora che sia terminato; potere delle previsioni e pratica scientifica moderna, evidentemente. Anche se quel che conta è il trend di riscaldamento, e tutto il resto è noia, come cantava Califano, o semplici fluttuazioni, come va di moda dire adesso; salvo poi aggiungere che se la fluttuazione è calda è chiaro indice del disastro imminente come accaduto in Russia la scorsa estate, mentre se è fredda testimonia le bizze del tempo atmosferico, come da tre inverni a questa parte in Europa. Ma questi sono segreti che i non esperti non possono capire, e non è necessario che lo facciano, basta che firmino petizioni e paghino la nascitura carbon tax.
Sta per calare il sipario, ma c’è ancora spazio per qualcosa di più di una foto di gruppo, altrimenti pazienza, ci vediamo in Sud Africa.