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NOTA

Politica, due nodi per il futuro del governo

Il giudizio per direttissima nei confronti di Berlusconi sta rimescolando il quadro politico, ma al momento non si vedono alternative al cabotaggio.

Attualità 16_02_2011
berlusconi Il giudizio per direttissima chiesto dal Gip di Milano nei confronti del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi apre anche a molte domande schiettamente politiche, oltre che di procedura giuridica. Il quadro è in evoluzione velocissima, ma si può dire che i due problemi maggiori sono da un lato la tenuta del Pdl al proprio interno e dell’alleanza con la Lega e dall’altro la possibile emersione nel centrosinistra di un nome che permetta di coagulare una opposizione politica e non solo mediatica o di piazza.

Alla notizia della decisione di rinvio a giudizio presa dal Gip Cristina Di Censo, i massimi esponenti del Pdl, primo fra tutti il ministro della Giustizia Angelino Alfano, hanno riconfermato la tesi consolidata del complotto della magistratura e del diritto del premier a governare. Giuliano Ferrara sul Foglio ha denunciato ancora una volta una campagna per far cadere il governo per via “extraparlamentare”. L’apparenza è che il quartier generale del Pdl, compresi gli ex colonnelli di An, oggi tra i più convinti sostenitori del governo, faccia quadrato attorno a Berlusconi. Il problema è: quanto reggerà questa tenuta?

Allo stato attuale non si vedono prospettive alternative dentro il Pdl. C’è la possibilità remota che Berlusconi si dimetta e che si dia inizio ad una crisi “pilotata”, costituendo un nuovo governo sempre di centrodestra ma guidato da un altro nome designato da Berlusconi stesso; una specie di successione. La soluzione richiederebbe prima di tutto una disponibilità del premier che in questo momento sembra assolutamente improbabile. La cosa suonerebbe come una sconfitta ed un gettare la spugna nel momento di massima difficoltà. Una simile soluzione richiederebbe anche una forte coesione del centrodestra, che non è scontata nel tempo, ed una disponibilità del Quirinale. A questo proposito va fatta una riflessione.

Il centrosinistra ha sempre sostenuto, a termini di Costituzione, che nel caso di dimissioni del governo si dovrebbe cercare in Parlamento un’altra maggioranza prima di sciogliere le Camere. In questo momento, però, il segretario del Pd Bersani sta chiedendo le dimissioni del governo e le elezioni anticipate, saltando la ricerca di un’altra maggioranza in Parlamento. Come si vede, c’è stato un rovesciamento di posizioni non da poco. Ma ci sarebbe un parallelo rovesciamento di posizioni anche dall’altra parte se ora fosse il centrodestra a sostenere che in caso di dimissioni del Presidente si dovesse cercare un’altra maggioranza guidata da un nuovo nome gradito a Berlusconi. Una “successione” pilotata in Parlamento contrasterebbe con quanto il centrodestra ha sempre detto, ossia che, data la “Costituzione materiale” introdotta dal sistema elettorale maggioritario secondo cui i governi nascono nell’urna e non nell’aula, in caso di dimissioni si deve tornare a votare. La designazione del “successore” sarebbe fatta da Berlusconi, ma dovrebbe passare attraverso un bagno elettorale.

La richiesta di elezioni da parte del Pd di Bersani avrebbe bisogno di due condizioni per assumere un vero peso politico. La prima è che il Pd indicasse già fin d’ora un nome che trasformasse quella richiesta in qualcosa di concreto e non in una vaga intenzione. D’Alema ha rivelato ai giornalisti che lui un nome ce l’ha e che non lo dice per non bruciarlo. Comprensibile tattica, però intanto, senza il nome, la richiesta di elezioni sembra solo un’eco alla piazza del “se non ora quando”. La seconda condizione è che il Pd punti non a contrattare con la Lega per sganciarla dall’alleanza di governo o a prefigurare un passaggio del gruppo di Fini con il centrosinistra, ma faccia una chiara proposta alternativa a nome dell’intero centrosinistra. Ma tutto questo non si vede ancora all’orizzonte, a meno che il precipitare degli eventi e l’interesse politico da cogliere immediatamente non “obblighi” la svariata galassia del centrosinistra ad esprimere un nome ed una linea comuni.

L’altro punto di domanda è la fedeltà della Lega all’alleanza con il Pdl. L’osservazione che la Lega vuole il federalismo e raggiunto quello si riterrà con le mani libere oggi non vale più. Il federalismo non è un fatto, è un processo di cui il cosiddetto “federalismo fiscale” era solo una tappa. E pure questo è diventato un processo da ridisegnare dopo la bocciatura della Bicamerale e da quando il Quirinale ha definito “irricevibile” il decreto del governo sullo stesso tema. Non c’è quindi una data dopo la quale, approvato il federalismo, la Lega avrà le mani libere. Andando alle elezioni la Lega sicuramente aumenterebbe i propri consensi, ma per fare cosa? E’ quindi probabile che la fedeltà della Lega a Berlusconi rimarrà tale, espressa sottotono piuttosto che gridata, e fino a che la situazione sul versante giuridico la renderà possibile.

In questo momento, in altre parole, non si vedono reali alternative al cabotaggio.