EDUCAZIONE
"Pippi" contro i 68ottini
Astrid Lindgren, "mamma"
di Calzelunghe, irritava
i progressisti
e oggi è introvabile.
Cultura
11_02_2012
A dieci anni dalla sua scomparsa non sarà inutile ricordare la scrittrice svedese Astrid Lindgren, il cui nome viene abbinato con troppa facilità all’invenzione di una letteratura per l’infanzia critica rispetto al modello tradizionale di famiglia: la sua Pippi Calzelunghe, il personaggio creato nel lontano 1945, con l’anticonvenzionalità e l’insubordinazione che la distingue, è stata vista a lungo, e soprattutto in Italia, come il modello insuperato di un’infanzia "emancipata", perché protagonista di «modi di essere diversi da quello tradizionalmente imposto e codificato» (così Concita De Gregorio).
A lungo si è voluto far credere che la scrittrice intendesse mettere in discussione quella prima, complessa realtà educativa e sociale che è la famiglia. Quello rappresentato da Pippi, secondo la vulgata progressista, sarebbe un modello voluto per segnalare come indifferente, se non contraria al libero sviluppo delle facoltà di un bambino, la presenza di un padre e di una madre accanto al proprio bambino. In realtà, la Lindgren non aveva nulla a che fare con tutto questo. Alcuni passaggi della sua biografia, insieme ad alcune sue dichiarazioni rilasciate nei caldi anni Settanta in Germania lo dimostrano.
Dopo la nascita della sua Karin, nel 1937, la scrittrice svedese decise di trascorrere alcuni anni da casalinga, proprio per essere accanto alla figlia. Così commentava lei stessa alcuni decenni dopo quella scelta: «Una donna ha il diritto di avere un proprio lavoro, di essere autonoma e di guadagnare denaro, ma se ha figli dovrebbe amarli al punto di decidere di passare con loro almeno i primi anni della loro vita. Non dovrebbe pensare: ‘che peccato, essere così legata ai propri figli!"». La stessa idea del personaggio Pippi le venne nel 1941, assistendo la figlia, costretta a letto da una malattia. In Germania, dove le sono state dedicate almeno un centinaio di scuole, il successo è stato enorme (oltre 20 milioni di suoi libri venduti), fin dall’uscita del primo libro dedicato a Pippi Långstrump, pubblicato nella Repubblica Federale nel lontano 1949.
Ma fu proprio dalla Germania Ovest che giunsero le più forti critiche al "modello Pippi". Protagonisti i sessantottini, che nel contesto delle spietate critiche alla fiaba (un genere troppo lontano dalla realtà, si diceva) arrivarono ad accusare la svedese di trasformare il «bisogno di protesta proprio dei bambini in fantasticherie favolistiche, ingabbiandolo nelle pagine dei suoi libri». Chiaro, in tempi di cupa difesa dell’ideologia "realista" un mondo come quello di Bullerby non poteva essere tollerato. Ancor più violenti furono gli attacchi subiti dalla Lindgren nel 1978, quando le fu assegnato il prestigioso Premio dei Librai Tedeschi per la Pace. In una Germania scossa dagli omicidi compiuti dai terroristi della RAF (le brigate rosse tedesche) poteva essere tollerata solo una letteratura per l’infanzia che fosse intrisa di forte critica sociale. Per questo motivo i media dominanti arrivarono a chiedere che almeno non le fosse concesso di tenere il discorso di ringraziamento, com’era ed è tuttora secondo protocollo, nella Paulskirche di Francoforte. Alla scrittrice svedese venne tuttavia concesso di pronunciare l’orazione e lei la intitolò significativamente "Mai con la violenza". «Da dove partire?» si chiedeva allora la Lindgren. E quale poteva essere la sua risposta se non: dai bambini. E attenzione, non c’era nulla di ingenuo in quel suo porre al centro i piccoli.
La sua infatti, alla faccia delle letture "anarchiche" che si sono volute applicare alla sua opera, era anzitutto una preoccupazione educativa: «Un bambino che riceva amore dai propri genitori», così un passo dal suo discorso del 1978, «e che a sua volta impari ad amarli ne guadagna un rapporto amorevole rispetto al suo ambiente e quest’atteggiamento non potrà non accompagnarlo per l’intera sua esistenza». Nessun cedimento dunque, nessuna delega a terzi (Stato, Partito o altro): La famiglia è il luogo del "calore umano", della "sapienza", della "disciplina". Parte integrante della vita familiare erano per lei anche le regole da rispettare: «Un’educazione libera, non autoritaria», proseguiva la Lindgren nel suo intervento, «non significa che si debbano abbandonare i figli, che si debba concedere loro di fare ciò che vogliono. Non significa che debbano crescere senza norme, anche perché sono essi stessi a chiederle». Sarà un caso che da anni, in Italia, le sue opere risultino pressoché introvabili?