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JIHAD

Piovono razzi su Israele. Gaza verso una nuova guerra

Il più grande lancio di razzi dal 2014 si è abbattuto su Israele negli ultimi due giorni. Fra il 29 maggio sera e ieri, si sono contati oltre 130 lanci di ordigni e colpi di mortaio da Gaza contro le cittadine e i terreni agricoli israeliani al confine con la “Striscia”. Ci sono tutte le condizioni politiche e militari per un nuovo conflitto.

Esteri 01_06_2018
Gaza

Il più grande lancio di razzi dal 2014 si è abbattuto su Israele negli ultimi due giorni. Fra il 29 maggio sera e ieri, si sono contati oltre 130 lanci di ordigni e colpi di mortaio da Gaza contro le cittadine e i terreni agricoli israeliani al confine con la “Striscia”. L’Idf ha risposto distruggendo tunnel di Hamas e loro basi. Gli Usa hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza la condanna dell’attacco del gruppo jihadista palestinese, ma senza successo. Si apre la prospettiva di un nuovo conflitto, anche considerando che la classe dirigente palestinese è traballante e divisa sulla possibile successione di Mahmoud Abbas.

Gli attacchi con razzi, rivendicati sia da Hamas che dalla Jihad Islamica sono iniziati martedì 29 maggio sera, con una frequenza che non si vedeva da quattro anni. Sono l’ultima tappa di un’escalation, incominciata con la grande marcia verso il confine israeliano, organizzata da Hamas per la Giornata della Terra, poi con la seconda grande marcia per la Nakba (“catastrofe”, con cui i palestinesi e i loro alleati nominano la nascita dello Stato di Israele). Entrambe le manifestazioni, degenerate subito, hanno provocato decine di morti e centinaia di feriti. Israele ha elencato tutti i militanti che ha ucciso nell’azione di confine, per dimostrare all’opinione pubblica mondiale che, a parte poche vittime collaterali, non fossero affatto pacifici manifestanti, ma militanti del gruppo armato jihadista di Gaza. E, sul confine, non cercavano affatto di manifestare pacificamente, ma di attraversarlo, per far cosa è facile immaginarlo. Ma la condanna è giunta comunque, sia dalle maggiori Organizzazioni non governative, sia dall’Ue che dall’Onu che ora apre una commissione di inchiesta. Mentre Erdogan prometteva ai suoi elettori, in vista del voto, una “liberazione” di Gerusalemme. La tensione è al massimo dopo il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. E a questo si aggiunga che la comunità musulmana di tutto il mondo sta celebrando il mese sacro di Ramadan da metà maggio. Insomma, un mix di riprovazione internazionale contro Israele, sacralità del periodo e tensione al calor bianco nella popolazione palestinese: tutte le condizioni per una “tempesta perfetta” in Medio Oriente. Che puntualmente sta arrivando.

Le sirene dell’anti-aerea nel Negev occidentale, a ridosso della striscia di Gaza, hanno continuato a suonare quasi ininterrottamente. E’ stato attivato il sistema Iron Dome, che ha intercettato tutti i razzi che avrebbero potuto colpire i centri abitati. Non tutti, a dire il vero. Un ordigno ha centrato una casa a Netivot, un altro è finito in un asilo (fortunatamente un’ora prima dell’apertura). La risposta militare non si è fatta attendere: 55 bersagli colpiti in tutta la Striscia di Gaza, fra depositi di armi, basi di Hamas e soprattutto tunnel sotterranei utilizzati per far passare uomini e armi. Fra questi ce n’era uno, scavato sotto il posto di frontiera di Kerem Shalom, lungo quasi un chilometro, utilizzabile anche per penetrare in territorio israeliano, forse per futuri attentati. Sia la Jihad Islamica che Hamas rivendicano con forza gli attacchi su Israele. “Una risposta sacra”, la definisce la Jihad. “La resistenza di Gaza ha diritto di tacere o di rispondere a seconda degli interessi del popolo”, ha rincarato la dose il portavoce di Hamas.

A chiedere la condanna internazionale dell’attacco delle organizzazioni jihadiste è stata l’ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Haley. “Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe essere oltraggiato da questa nuova ondata di violenza contro civili israeliani innocenti e dovrebbe rispondere. La dirigenza palestinese deve essere considerata responsabile per quel che permette che avvenga a Gaza”. La Haley ha chiesto una sessione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza, riunitasi ieri. Ma il Kuwait, membro non permanente del Consiglio e rappresentante di tutti i paesi arabi ha bloccato la risoluzione statunitense, per poter continuare a lavorare a una propria contro-risoluzione che chiede la protezione dei civili palestinesi.

A questo proposito, la classe dirigente palestinese è assente. Il presidente Mahmoud Abbas, a Ramallah, è ancora in ospedale per un’operazione a un orecchio che pare sia andata bene. Fonti mediche parlano di infiammazione polmonare ancora in corso e in ogni caso non è in grado di svolgere le sue funzioni politiche. Il Partito Fatah, che fu di Arafat, attualmente comanda i territori palestinesi attraverso il suo Comitato Centrale. In assenza di leadership inizia la lotta per la successione. Fatah la vuole monopolizzare. Il successore più popolare nei territori è Marwan Barghouti, ex leader dei Tanzim nel corso della Seconda Intifada, ma ha rivali potenti come Mahmoud Dahlan, ex capo dei servizi di sicurezza a Gaza fino al 2007 (e ora in esilio ad Abu Dhabi) e Majed Faraj, attuale capo dei servizi segreti. Ma Hamas scalpita. Il partito islamico, che vinse le elezioni del 2006, ma non poté mai governare perché estromesso da Fatah, al potere a Gaza a seguito di un golpe armato nel 2007, vuole prendersi tutta la Palestina. E alza il tiro, contro Israele, mostrando i denti, per proporsi come unico vero partito dei palestinesi. Proponendo la guerra, chiaramente, non la pace.