Pietro Parolin segretario di Stato. Discontinuità ma non troppo
La nomina del nunzio in Venezuela segna il ritorno di un diplomatico a capo della segreteria di Stato: c'è una certa sintonia tra Francesco e Benedetto nello scegliere i collaboratori.
Una chiara discontinuità, ma in forte sintonia con il suo predecessore. Si può sintetizzare così la scelta del nuovo segretario di Stato vaticano fatta da papa Francesco. La nomina a sostituto del cardinale Tarcisio Bertone dell’arcivescovo Pietro Parolin - 58 anni, vicentino, attualmente nunzio in Venezuela ma per molti anni già “ministro degli Esteri” in Vaticano - è stata ufficializzata ieri ma era annunciata ormai da giorni.
La discontinuità è evidente: con Parolin si torna a un segretario di Stato che viene dalla carriera diplomatica, dopo la parentesi di Bertone, che tante critiche e polemiche ha sollevato. Il nuovo segretario di Stato, che entrerà ufficialmente in carica a metà ottobre, viene descritto come un fedele e disponibile servitore della Chiesa qualsiasi sia il compito che gli viene affidato, e anche un capace diplomatico a cui viene attribuito ad esempio il merito del miglioramento delle relazioni della Chiesa con il Vietnam.
Il cambiamento peraltro ha interessato soltanto la “testa” della Segreteria di Stato perché gli altri incarichi sono stati confermati: il sostituto Giovanni Angelo Becciu, il segretario per i rapporti con gli Stati Dominique Mamberti, e il sotto-segretario ai rapporti con gli Stati Antoine Camilleri. Nessuna rivoluzione, dunque, che tanti invece prevedevano e auspicavano, anche se il cambiamento della Curia è solo all’inizio.
Peraltro lo stesso cardinal Bertone rimane – almeno per ora – a capo della Commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior, il che significa che la sua era non è ancora finita. Le vicende dello Ior hanno rappresentato infatti uno dei punti più controversi durante il suo mandato: basti ricordare gli scandali finanziari che sono emersi recentemente; il tentativo di coinvolgere l’istituto nel mega-progetto di creazione di un polo sanitario vaticano, passando dal salvataggio dell’ospedale San Raffaele (operazione poi fortunatamente fallita); lo stop a quel processo di trasparenza voluto da Benedetto XVI, con tanto di ignominioso siluramento dell’allora presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi. E’ perfino banale affermare che finché Bertone rimarrà in quella posizione sarà molto difficile, se non impossibile, fare luce su tutte queste vicende.
Detto questo, però, nei criteri di scelta si deve notare una forte sintonia di papa Francesco con chi l’ha preceduto. Non bisogna infatti dimenticare che anche papa Benedetto XVI aveva iniziato il suo pontificato all’insegna della riforma della Curia vaticana, e la scelta del cardinale Bertone quale segretario di Stato era un forte segnale di rinnovamento, per non dire di sfiducia nei confronti dei curiali. Bertone infatti non veniva dalla “scuola” della diplomazia vaticana, e la sua nomina significava anche la volontà di privilegiare l’evangelizzazione rispetto alle preoccupazioni “politiche” tipiche degli ambienti diplomatici. Inoltre, papa Ratzinger aveva scelto qualcuno che conosceva bene e con cui aveva un rapporto di assoluta fiducia, visto che Bertone era da anni segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede quando lui ne era il prefetto.
La ragionevolezza dei criteri e la bontà delle intenzioni non garantisce però risultati all’altezza. Così la guida della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone si è trasformata in un Calvario per il papa, preso tra il poter contare su una persona di fiducia e la pressione crescente di vescovi e cardinali che gli chiedevano di allontanare il cardinal Bertone dalla segreteria di Stato.
Proprio per quanto successo, ora papa Francesco si trova a dover procedere nella riforma della Curia, con ancora più urgenza e maggiori pressioni. E anche lui sembra muoversi sulla base di conoscenze personali e sui consigli di una ristretta schiera di persone di cui si fida o pensa di potersi fidare. Il che però, come per il suo predecessore, non lo mette al riparo dai rischi di scelte poco felici, come peraltro è già successo in questi mesi. Per la Segreteria di Stato ha puntato su una persona di esperienza diplomatica e di provata capacità di lavorare con tutti, e in ogni caso monsignor Parolin non godrà di tutto il potere e libertà di fare e disfare che invece si era garantito il suo predecessore.
C’è dunque solo da pregare perché i nuovi collaboratori assecondino davvero il Papa nel compito di portare Cristo ovunque, anche nelle più lontane periferie esistenziali.