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LIBERTA' RELIGIOSA

Persecuzioni, miracoli, speranza. Le Porte Sante d'Asia

Si aprono le Porte Sante di tutto il mondo per dare inizio al Giubileo della Misericordia. Anche in Cina, dove il cristianesimo cattolico è ancora forzatamente diviso dal regime comunista e negli altri regimi marxisti dell'Asia, il Vietnam e il Laos. E a Zhengding, vicino a Pechino, avviene un "miracolo"...

Libertà religiosa 16_12_2015
Apertura della Porta Santa a Zhengding

Si aprono le Porte Sante di tutto il mondo per dare inizio al Giubileo della Misericordia. Anche in Cina, dove il cristianesimo cattolico è ancora forzatamente diviso dal regime comunista e negli altri regimi marxisti dell'Asia orientale, dove la religione è ufficialmente libera, ma di fatto repressa.

Si apre la Porta Santa della cattedrale di Zhengding, nella provincia di Hebei (confinante con Pechino) e qui avviene un “miracolo”: la polizia permette a diecimila fedeli della chiesa sotterranea, quella fedele al Papa, quella proibita dal regime, di celebrare, senza intervenire. Secondo quanto riferisce l’agenzia missionaria Asia News, il 13 dicembre, a presiedere la liturgia, durata dalle 8.30 del mattino fino alle 12.30, vi era il vescovo Giulio Jia Zhiguo, non riconosciuto dal governo, agli arresti domiciliari da anni perché si rifiuta di iscriversi all’Associazione patriottica, rimanendo fedele al papa. “è stupefacente – commenta una suora – che così tante persone abbiano potuto radunarsi per così tanto tempo e nessuno sia stato arrestato. È probabile che vi fossero poliziotti in borghese, mescolati alla folla, ma non è successo nulla”. Mons. Giulio Jia Zhiguo è guardato a vista dalla polizia e periodicamente è sottoposto a sessioni di “rieducazione” politica. E’ molto stimato dalla popolazione locale, anche per le sue opere di bene. Circa duecento bambini disabili sono assistiti dalla sua parrocchia, da lui personalmente e da un piccolo gruppo di volontari laici e religiosi. La sua messa del 13 dicembre può segnare un piccolo momento di apertura da parte del regime.

A Shanghai, però, il miracolo non si è ripetuto. La Porta Santa della cattedrale non è stata aperta. Il motivo ufficiale è che la facciata è in restauro e secondo alcuni sacerdoti locali verrà aperta non appena saranno finiti i lavori. La messa non è stata celebrata, però, anche per un’altra ragione: il vescovo Taddeo Ma Daqin è stato arrestato questa settimana, rinchiuso ai domiciliari nel seminario di Sheshan. Il suo blog su Weibo (il social network più diffuso in Cina) non viene aggiornato da allora. Un’altra storia di soprusi è quella della provincia di Zhejiang dove, per volontà dei dirigenti locali del Partito Comunista, le croci delle chiese vengono sistematicamente rimosse e decine di cristiani sono stati arrestati perché si opponevano alla campagna governativa. Nella diocesi di Wenzhou, mons. Zhu Weifang, in prima linea nelle proteste contro la rimozione delle croci, ha potuto comunque celebrare la messa e aprire la Porta Santa della cattedrale della sua diocesi.

Il Partito Comunista Cinese, nonostante i ben pubblicizzati segnali di apertura sulla libertà di religione, ha comunque iniziato il 2015 con una dura campagna di riaffermazione dell’ateismo. Se non a tutti i cinesi, ma almeno ai suoi quasi 90 milioni di membri, ha imposto il rifiuto senza se e senza ma di ogni credo religioso. In un articolo pubblicato a maggio dall’organo della Commissione Disciplinare Centrale, il Partito ha avvertito: “il fatto che un piccolo numero di membri abbia dimenticato la visione del mondo del Partito, basata sul materialismo dialettico, e si sia convertito a una religione, è ora affrontato con la massima attenzione, nel senso che rientra in ambito disciplinare (…) Marx stesso ha sottolineato che il comunismo, nella sua essenza, inizia dall’ateismo. Non c’è alcun dubbio sul fatto che il principio ideologico fondamentale secondo cui i membri del partito non possono aderire ad alcuna religione, è stato esplicito nel Partito sin dalla sua origine”.

La Cambogia dei Khmer Rossi fu Stato che applicò fino in fondo il marxismo-leninismo, fino all’eliminazione fisica totale di tutti coloro che non rientravano nel suo progetto di società. Ora la Cambogia è governata, essenzialmente, da ex Khmer Rossi che garantiscono (solo ufficialmente) la libertà di religione. Tuttavia i cristiani locali sono soggetti a varie forme di discriminazione e persecuzione. La speranza è che questo Anno Santo della Misericordia “faccia nascere la consapevolezza della bellezza del perdono di Dio. Per i cambogiani il perdono è ancora qualcosa di difficile da capire, da sperimentare. Per chi viene dal mondo buddista il perdono dei peccati non esiste”, dice padre Mario Ghezzi all’agenzia Asia News, dopo l’apertura della Porta Santa nel vicariato apostolico di Phnom Penh, il 10 dicembre.

Ma proprio in questi mesi, in Cambogia, si sta consumando la tragedia dei cristiani Montagnard in fuga dal Vietnam. Minoranza etnica cristiana (per metà protestante e per metà cattolica), diffusa sugli altipiani centrali, la comunità Montagnard si oppose al regime comunista prima, durante e dopo la lunga guerra del Sudest asiatico. E dal 1975 (l’anno della presa di Saigon) subiscono la repressione peggiore. Il governo cambogiano non riconosce loro lo status di rifugiati politici, ritenendo che non vi siano gli estremi per parlare di “persecuzione”. Dalle interviste rilasciate a Radio Free Asia dai Montagnard giunti in Cambogia, si legge chiaramente la persecuzione che stanno subendo. Ad esempio una donna racconta: “La polizia ordinava a mio marito di recarsi in commissariato per interrogatori, con una frequenza tale che non poteva più mangiare o dormire in pace (…) non lo volevano ascoltare, né lasciare in pace”. Ora il marito di questa donna è nascosto da mesi a Phnom Penh, per non essere rimpatriato. Un altro rifugiato, un quarantenne, ha dovuto lasciare moglie e tre figli in Vietnam e fuggire più in fretta che poteva, perché continuamente vessato dalle autorità politiche del suo villaggio. Dopo non aver ottenuto lo status di rifugiato “non so più cosa fare, qui – dichiara – Urlo di paura, se torno in Vietnam la polizia continuerà a tenermi sotto controllo e mi costringerà a subire tanti altri interrogatori. Ho paura”. Con una mossa orchestrata dall’Acnur (l’agenzia Onu per i rifugiati), diciassette volontari fra i Montagnard sono tornati in Vietnam, su tutti gli altri la trattativa è in corso. Il motivo della persecuzione vietnamita, a quarant’anni dalla fine della guerra, è essenzialmente religioso, contro il cristianesimo.

Una persecuzione strisciante contro i cristiani caratterizza anche la politica dell’altro regime comunista asiatico, il Laos. L’anno giubilare, da quelle parti, è stato preceduto da una serie di retate della polizia nella provincia di Khammouane. Lo scorso agosto, Bibbie sono state sequestrate, cristiani arrestati, divieti imposti alla celebrazione della messa nelle chiese locali. Secondo testimoni che hanno rilasciato interviste a Radio Free Asia, la polizia del distretto di Nakai ha fatto pressioni sui cristiani arrestati perché firmassero un documento di ripudio della loro fede. L’Anno Santo, in questo paese, si è aperto l’8 dicembre. Mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, Vicario apostolico Paksé, uno dei quattro vescovi laotiani, si dice ottimista nella sua intervista a Vatican Insider. Rispetto al passato, la situazione è già molto migliorata: “Oggi la relazione col governo è generalmente buona. La fede cattolica è un culto ufficialmente riconosciuto, e la Costituzione garantisce libertà religiosa. Se in alcuni distretti vi sono difficoltà per i fedeli cristiani, dipende spesso dai funzionari locali. Va detto, poi, che spesso i problemi riguardano le comunità protestanti. Noi cattolici ci muoviamo con un approccio di inculturazione del Vangelo, con la politica dei piccoli passi: studiando le situazioni prima di agire. Non siamo contro nessuno, vogliamo solo donare il Vangelo, un messaggio di amore e di misericordia rivolto ad ogni uomo. In quest’opera manteniamo profondo rispetto per le tradizioni locali”. Quest’anno si celebrerà la beatificazione dei martiri del Laos, Mario Borzaga e Paolo Thoj Xyooj, uccisi nel 1960, Giuseppe ThaoTien, e di altri 14 compagni assassinati dai comunisti dal 1954 al 1970. Per il presente e per l’immediato futuro, si ripropone il vescovo laotiano, “I fedeli seguono l'assunto: essere buon cittadino e buon cattolico. Desideriamo che un cattolico sia nella vita quotidiana un esempio per giustizia, solidarietà, onestà. Se la Chiesa è sale, luce e lievito, non ha nulla da temere e il suo futuro è garantito dalla grazia di Dio, non dai suoi sforzi”.