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SIRIA

Perché l'Isis massacra i cristiani nella valle del Khabur

I miliziani dello Stato Islamico hanno espugnato i villaggi cristiani nella valle del Khabur. Perché? Per conquistare un altro accesso al confine con la Turchia, dopo la perdita di Kobane. E perché è un'area che interessa meno all'opinione pubblica, dunque anche esclusa dai raid della Coalizione. A pagare sono i cristiani che vivono lì dal 1933.

Esteri 25_02_2015
Villaggi cristiani incendiati

Di fronte alle notizie ormai quotidiane sulle violenze contro i cristiani perpetrate dallo Stato Islamico, la prima reazione è sempre lo sgomento. E non potrebbe essere diversamente quando - come accaduto ieri - apprendiamo dei rastrellamenti e dei rapimenti in corso nell'alta valle del Khabur, nel nord est della Siria, con decine di caldei portati via. Oltre alla distruzione della chiesa di Mar Bithion, nel villaggio di Tal Hormuz.

Sarebbe tempo - però - che subito dopo cominciassimo anche a chiederci: perché proprio lì? E perché adesso? Dell'autoproclamatosi califfo al Baghdadi – infatti – tutto si può dire tranne che si muova in maniera casuale. Erano lì a portata di mano almeno dall'estate scorsa questi trentacinque villaggi caldei nella zona a nord ovest di Hassaké, verso la frontiera turca di Ceylanpinar. Come mai vengono presi di mira proprio ora? La risposta ieri l'ha data molto chiaramente il vescovo locale Mar Aprem Athniel, contattato dall'Aiuto alla Chiesa che Soffre attraverso un proprio referente iracheno: avanzano nell'alta valle del Khabur perché hanno perso Kobane, la città curda sul confine con la Turchia, che si trova un centinaio di chilometri più a ovest. Kobane, la porta di accesso dei foreign fighters che vanno a combattere, ma anche delle armi che alimentano questo conflitto. Kobane, l'unica città accessibile per i giornalisti occidentali embedded tra i peshmerga curdi. Kobane per questo diventata l'unica battaglia raccontata della guerra contro lo Stato Islamico (quella che alla fine il califfo ha perso).

Persa una Kobane - però - se ne trova un'altra. Così ora è partito l'attacco ai villaggi caldei dell'alta valle del Khabur, per garantirsi un'altra via «sicura» di accesso dalla Turchia. Cioè dal Paese che - appena qualche giorno fa - ha sfoderato un'incursione in grande stile in Siria per riportarsi a casa le spoglie di Suleyman Shah, il nonno del fondatore dell'impero ottomano: era sepolto in un mausoleo che per i mille bizantinismi dei trattati era rimasta un'area extraterritoriale turca. La stessa Turchia - però - al di qua della frontiera, quantomeno non si accorge dei traffici organizzati dallo Stato Islamico e comunque non sembra intenzionata a interferire. Così la valle del Khabur è perfetta per al Baghdadi: molto difficilmente qualcuno si preoccuperà davvero di 35 villaggi cristiani di un'area che in pochi sanno distinguere su una cartina. Perfetta anche perché per i giornalisti Tel Shamiram o Tel Hormuz resteranno comunque molto più difficilmente raggiungibili di Kobane e dunque non diventeranno un simbolo. Del resto - come dichiarato senza mezzi termini sempre ieri all'agenzia Fides dall'arcivescovo siro-cattolico di Hassaké, Jacques Behnan Hindo - anche i bombardieri americani mentre il califfato sferrava il suo attacco hanno sorvolato l'area senza intervenire. Perché - alla fine - la valle del Khabur è un altro posto dove lo Stato Islamico può contare sul suo vero alleato di ferro: le mille partite diverse che tutti continuano a giocare in Siria, rendendo la coalizione che dovrebbe combatterlo un ammasso di parole. Il tutto alla viglia dell'annunciata battaglia di Mosul; che - nonostante i proclami - non si sa bene quando arriverà davvero; ma con questa mossa certamente al Baghdadi si sta preparando.

Ci sarebbe poi da aggiungere anche qualcos'altro. E cioè che cosa rappresenta la valle del Khabur per i cristiani caldei. Perché questi trentacinque villaggi sono il risultato di un'altra ferita: i cristiani iracheni arrivarono qui in fuga nel 1933 al termine dell'ultimo capitolo del genocidio assiro, parente stretto del genocidio degli armeni (ma ancora meno conosciuto). Perché nelle stragi e nelle deportazioni forzate di un secolo fa anche i cristiani assiri nell'Impero Ottomano subirono la stessa sorte degli armeni. E le loro sofferenze ebbero un'appendice negli anni Trenta quando l'Iraq - appena divenuto indipendente - stroncò nel sangue le richieste di autonomia degli assiri nel massacro di Simele. In quei giorni drammatici in migliaia varcarono il confine con la Siria, allora ancora sotto dominio francese. E nacquero questi villaggi che poi grazie alle dighe e alle opere di canalizzazione del preziosissimo fiume Khabur sarebbero diventate il granaio del Paese. Prima di un folle gioco al massacro che oggi non è solo lo Stato Islamico purtroppo a giocare.