Perché 3000 religiosi all'anno lasciano l'abito talare
In vista dell'Anno della Vita Consacrata, che cadrà nel 2015, si contano anche gli abbandoni: dal 2008, circa 3000 religiosi all'anno lasciano l'abito talare. Per la secolarizzazione e l'indebolirsi dei valori di castità e obbedienza.
Il 2015 sarà l'Anno della Vita Consacrata. L'Arcivescovo Rodriguez Carballo – frate minore, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica – ha sottolineato che questo appuntamento è stato pensato nel contesto delle celebrazioni per i 50 anni del Concilio Vaticano II. L'Anno della Vita Consacrata – disse Mons. Carballo nel novembre scorso - vuole “fare memoria” del “fecondo cammino di rinnovamento” della vita consacrata in questo periodo, riconoscendo “anche le debolezze e le infedeltà come esperienza della misericordia e dell’amore di Dio”.
Tra le debolezze che attraversano la vita religiosa sicuramente c'è la crisi delle vocazioni e, correlato al precedente, il fenomeno degli abbandoni. In merito agli abbandoni possiamo registrare i dati forniti dallo stesso Mons. Carballo in un intervento sull'Osservatore Romano dello scorso ottobre. Il dicastero presieduto dal porporato brasiliano Braz de Aviz nel periodo 2008/2012 ha visto ben 13.123 uomini e donne che hanno lasciato la vita religiosa, con una media annuale di 2.624 (2,54 ogni 1000 religiosi). Aggiungendo anche i casi trattati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede si raggiunge la cifra di circa 3.000 religiosi o religiose che ogni anno abbandonano la loro scelta di vita.
In un'indagine del 2005 del francescano Luis Oviedo, si rilevava che nei quindici anni precedenti erano stati prevalentemente i religiosi professi di voti temporanei ad abbandonare. Ma anche tra i professi di voti perpetui da meno di dieci anni il fenomeno era assai rilevante, specialmente in America Latina e in Europa Occidentale. Le motivazioni del fenomeno venivano raggruppate dallo studioso in tre categorie: problemi affettivi, conflitto con i superiori e crisi di fede. Più o meno gli stessi che anche Mons. Carballo rileva nel suo articolo sull'Osservatore Romano.
Oviedo interpretava la situazione cercando le cause nella secolarizzazione, che ha ridotto tutti gli indici di fedeltà e di impegni definitivi, ma anche «il venir meno del senso di "eccellenza oggettiva" [della vocazione religiosa], conseguente allo sviluppo teologico postconciliare, avrebbe intaccato le capacità di attrazione nei confronti dei potenziali candidati alla vita consacrata». Secondo quest'ultima prospettiva una minor sottolineatura della speciale consacrazione del religioso rispetto ad altre vocazioni, come ad esempio quella matrimoniale, avrebbe in un certo senso favorito l'abbandono. Infatti, sebbene ci sia una chiamata per tutti alla santità, non tutte le vie per raggiungerla sono uguali.
Mons. Carballo nel suo intervento sull'Osservatore Romano ha indicato, tra le altre cause del fenomeno, quello “dell'assenza di vita spirituale, preghiera personale, preghiera comunitaria, vita sacramentale — che conduce, molte volte, a puntare esclusivamente sulle attività di apostolato, per poter così andare avanti o per trovare dei sotterfugi.”
Da questo punto di vista probabilmente possono valere le considerazioni che lo stesso Oviedo faceva nel 2005, vale a dire la necessità, oltre a selezioni rigorose e periodi di formazione ben organizzati, di sottolineare proprio la speciale consacrazione del religioso che rappresenta un unicum nel panorama ecclesiale. Infatti, questa via di speciale consacrazione ha proprio nella vita contemplativa la sua specificità, una vita centrata sulla preghiera e sui sacramenti.
Un certo attivismo pastorale a scapito della vita sacramentale e spirituale, abbinato ad una crescente perdita di importanza dei valori propri della scelta religiosa, in particolare castità e obbedienza, sono certamente alla radice dei continui abbandoni. Per arginare il fenomeno vi sono diverse vie da percorrere, innanzitutto occorre mostrare la forte identità della scelta religiosa rispetto ad un mondo sempre più liquido. Un'identità che proprio per questo può aprirsi all'altro senza paure o inutili compromessi.
Un profondo sentire cum ecclesia quindi che non si fondi su motivazioni vaghe e storicistiche, ma sulla tradizione e sulla vita evangelica. In vista dell'Anno della Vita Consacrata il caso delle suore americane appartenenti all'Lcwr può fornire molti spunti di riflessione su come interpretare questo sentire cum ecclesia che sia fonte di bene all'interno e all'esterno della Chiesa Cattolica.