G20
Per la ripresa gli Usa guardano all'Asia- Pacifico
Il fattore Cina domina il G20 che si svolge oggi e domani a Cannes. Ma mentre l'Europa non sa cosa fare, gli Usa si stanno già muovendo.
Attualità
03_11_2011
“La Cina ormai conduce il gioco, la riunione del G 20, deve essere il momento di verità per lo yuan”, François Hollande, appena emerso dalle primarie del partito socialista francese quale futuro sfidante alle presidenziali del presidente in carica, Sarkozy, sul quotidiano francese Le Monde del 29 ottobre, sintetizza uno dei temi principali della prossima riunione che, oggi e domani (3 e 4 novembre) riunisce a Cannes le maggiori economie mondiali: 85% del PIL del pianeta.
Primo partner commerciale della Cina, la Comunità Europea, che ha importato nel 2010 merci per almeno 230 miliardi di dollari, tra pochi giorni dovrà scegliere se aver paura dei patrimoni cinesi, in soccorso della ricapitalizzazione delle nostre banche e come salvagente dei nostri debiti, o far intendere a Pechino, che una recessione europea non le sarebbe conveniente e che la proposta di farci credito solo dopo che abbiamo accettato di riconoscerla quale “economia di mercato” è esagerata e indecente.
Dal canto loro gli Stati Uniti, che hanno già metà del loro debito pubblico acquistato da banche cinesi e che tutto sommato con la Cina al momento hanno meno potere dell’Europa, per ritornare ad una posizione di indubbia ledership mondiale scelgono la strada della diplomazia.
Alle Hawaii, sempre questo novembre, il presidente americano Barack Obama ospiterà il vertice dell'Apec, l'organismo di cooperazione economica dell'Asia Pacifico. Sempre in novembre, e per la prima volta, il presidente Obama parteciperà anche al summit dell’ASEAN, l'associazione dei paesi del Sud Est asiatico, come rappresentante della neonata U. S. Mission to Asean: un ufficio da poco aperto a Giacarta ed un accordo di amicizia e cooperazione firmato lo scorso novembre, oltre all’istituzione di alcuni centri di studio a Washington DC.
Il segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton è il deus ex machina di tutta l’operazione "Pacifico"; non che per gli Stati Uniti l’area in questione non abbia sempre rappresentato uno dei luoghi principali della politica, ma oggi lo è in chiave nuova: quella di un accerchiamento pacifico del colosso cinese.
Scrive la Clinton su Foreign Policy di ottobre: “Il futuro della politica si decide in Asia, non in Afghanistan o in Iraq, e gli Stati Uniti devono mettersi immediatamente al centro dell’azione”. E ancora va diretta alla meta del suo ragionamento: “Negli scorsi 10 anni abbiamo speso le nostre risorse in due teatri…nei prossimi 10 anni dobbiamo essere intelligenti e sistematici riguardo a dove e come investire tempo e energia,…..dobbiamo metterci nella migliore posizione da dove sostenere la nostra ledership, certamente i nostri interessi, e avvantaggiare i nostri valori”.
La Clinton ammette di aver dedicato molto tempo e viaggi a studiare la situazione sud est asiatica e di esser certa che un veloce trasformazione dei paesi asiatici sia una grossa opportunità per l’economia americana. “ Gli Stati Uniti, leader sia atlantico che sul Pacifico devono costruire relazioni diplomatiche e commerciali sempre più significative nell’area spingendo per la salvaguardia in questi paesi di quei valori occidentali” di cui gli Stati Uniti si sono sempre sentiti i principali divulgatori. La Clinton guarda principalmente alla Cina, ma nel cercare una via per limitarne la potenza e la sfacciata politica di cambio dello yuan, pensa ad accordi commerciali con l’India, con la popolosa e musulmana Indonesia e si spinge ad immaginare migliori relazioni commerciali e, addirittura aiuti militari, dalla Corea del Sud, grazie al recente passaggio dell’accordo “Korea-U.S. free Trade agreement”.
La potenza cinese ha lo stesso tallone di Achille della Germania Guglielmina? Economia eccellente e democrazia scadente? La storia a volte si ripete, il segretario americano organizza una strategia pacifica e scommette nella rimonta dell’America.
Dal canto loro gli Stati Uniti, che hanno già metà del loro debito pubblico acquistato da banche cinesi e che tutto sommato con la Cina al momento hanno meno potere dell’Europa, per ritornare ad una posizione di indubbia ledership mondiale scelgono la strada della diplomazia.
Alle Hawaii, sempre questo novembre, il presidente americano Barack Obama ospiterà il vertice dell'Apec, l'organismo di cooperazione economica dell'Asia Pacifico. Sempre in novembre, e per la prima volta, il presidente Obama parteciperà anche al summit dell’ASEAN, l'associazione dei paesi del Sud Est asiatico, come rappresentante della neonata U. S. Mission to Asean: un ufficio da poco aperto a Giacarta ed un accordo di amicizia e cooperazione firmato lo scorso novembre, oltre all’istituzione di alcuni centri di studio a Washington DC.
Il segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton è il deus ex machina di tutta l’operazione "Pacifico"; non che per gli Stati Uniti l’area in questione non abbia sempre rappresentato uno dei luoghi principali della politica, ma oggi lo è in chiave nuova: quella di un accerchiamento pacifico del colosso cinese.
Scrive la Clinton su Foreign Policy di ottobre: “Il futuro della politica si decide in Asia, non in Afghanistan o in Iraq, e gli Stati Uniti devono mettersi immediatamente al centro dell’azione”. E ancora va diretta alla meta del suo ragionamento: “Negli scorsi 10 anni abbiamo speso le nostre risorse in due teatri…nei prossimi 10 anni dobbiamo essere intelligenti e sistematici riguardo a dove e come investire tempo e energia,…..dobbiamo metterci nella migliore posizione da dove sostenere la nostra ledership, certamente i nostri interessi, e avvantaggiare i nostri valori”.
La Clinton ammette di aver dedicato molto tempo e viaggi a studiare la situazione sud est asiatica e di esser certa che un veloce trasformazione dei paesi asiatici sia una grossa opportunità per l’economia americana. “ Gli Stati Uniti, leader sia atlantico che sul Pacifico devono costruire relazioni diplomatiche e commerciali sempre più significative nell’area spingendo per la salvaguardia in questi paesi di quei valori occidentali” di cui gli Stati Uniti si sono sempre sentiti i principali divulgatori. La Clinton guarda principalmente alla Cina, ma nel cercare una via per limitarne la potenza e la sfacciata politica di cambio dello yuan, pensa ad accordi commerciali con l’India, con la popolosa e musulmana Indonesia e si spinge ad immaginare migliori relazioni commerciali e, addirittura aiuti militari, dalla Corea del Sud, grazie al recente passaggio dell’accordo “Korea-U.S. free Trade agreement”.
La potenza cinese ha lo stesso tallone di Achille della Germania Guglielmina? Economia eccellente e democrazia scadente? La storia a volte si ripete, il segretario americano organizza una strategia pacifica e scommette nella rimonta dell’America.