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IMMIGRAZIONE

Per fermare l'onda umana, Erdogan chiede più soldi

Tensione al vertice di Bruxelles fra Ue e Turchia per tentare di arginare la crisi dell’immigrazione. Ankara chiede 6 miliardi e un processo più spedito per entrare in Europa. Renzi e la Mogherini frenano, chiedendo un maggior rispetto dei diritti umani in Turchia. Gli altri membri Ue vogliono chiudere le frontiere.

Esteri 08_03_2016
Recep Tayyip Erdogan

Tensione al vertice di Bruxelles fra Ue e Turchia per tentare di arginare la crisi dell’immigrazione.

Il flusso continuo di profughi e immigrati sulla rotta balcanica non accenna a ridursi, in Grecia decine di migliaia di persone sono ancora ammassate in campi profughi a ridosso del confine con la Macedonia. Il campo di Idomeni sta collassando, occorrono ore solo per procurarsi una pagnotta da mangiare. L’Ue ha deciso di affrontare il toro per le corna, trattando direttamente con il paese di transito per eccellenza dei profughi siriani: la Turchia. Ma la trattativa è più difficile del previsto ed è stata rinviata ad una seconda sessione serale.

La Turchia, prima di tutto, chiede soldi. Dopo gli ultimi accordi, l’Ue aveva promesso 3 miliardi di euro per aiutare Ankara a gestire una popolazione di 2 milioni e 700mila rifugiati provenienti soprattutto dalla Siria. La somma non è stata consegnata ai turchi, perché Bruxelles chiede un maggior impegno nel pattugliamento dell’Egeo da parte della marina turca e vuole che Ankara riaccolga gli emigranti a cui viene rifiutato lo status di rifugiato. Finora il governo turco non ha preso le misure necessarie per arrestare l’ondata di persone che si sta riversando sulla Grecia. In compenso, il premier Davutoglu, a Bruxelles, ha raddoppiato la sua richiesta. Ora chiede 6 miliardi di euro. “Sono passati quattro mesi – dalla promessa di aiuti europei, dichiara il presidente Recep Tayyip Erdogan – Il mio primo ministro è attualmente a Bruxelles. Spero che ritorni con i soldi”. Oltre ai 6 miliardi di euro, il governo turco chiede un piano di ridislocazione dei suoi campi profughi anche in paesi dell'Ue. Ma su questo punto, il premier conservatore ungherese Viktor Orban ha posto il veto.

Ankara ha chiesto anche importanti concessioni politiche: un percorso agevolato per diventare membro dell’Ue e una più rapida conclusione del piano per garantire ai cittadini turchi la circolazione in Europa senza visto. Queste ultime richieste incontrano un altro grande scoglio: la Turchia rispetta sempre meno gli standard democratici e di libertà richiesti da Bruxelles. Proprio venerdì scorso, la magistratura ha sequestrato una delle principali testate di opposizione, il quotidiano Zaman. Quando ha ripreso le pubblicazioni, il giornale si è “trasformato” in un organo di stampa filo-governativo. La questione Zaman ha sollevato un vespaio di polemiche in Europa, ma Ankara sta formulando le sue richieste come se nulla fosse accaduto.

Il premier italiano Matteo Renzi ha vincolato qualunque accordo alla soluzione dell’affaire Zaman: “Vogliamo un riferimento alla libertà di stampa in Turchia o non firmiamo il documento”, ha dichiarato Renzi. Anche l’Alta Rappresentante della Pesc, Federica Mogherini ha ribadito lo stesso concetto: “…è necessario che la Turchia, in quanto Paese candidato, risponda alla richiesta della Ue di rispettare gli standard più alti per quanto riguarda la democrazia, lo stato di diritto, libertà fondamentali a cominciare dalla libertà di espressione e di associazione. Questi sono valori chiave per la Ue. I Paesi candidati li devono rispettare e promuovere nei loro confini”.

Ma alcuni governi preferiscono non discutere neppure la questione dei diritti di libertà di stampa in Turchia e preannunciare la chiusura dei confini, se la crisi dell’immigrazione non dovesse essere risolta alla fonte. Così ha reagito, per esempio, il cancelliere austriaco Werner Faymann. Già al suo arrivo a Bruxelles ha dichiarato che Vienna “chiuderà tutte le rotte, anche quella balcanica. I trafficanti non devono avere alcuna opportunità” perché finora è prevalsa la politica, che giudica semplicistica, del “lasciar passare le persone”. Il governo Faymann non esclude che si possa raggiungere un accordo con Ankara, ma “se reggeranno lo si vedrà in futuro”.

L’Italia che è uno dei paesi di transito degli immigrati, dalla rotta del Mediterraneo centrale, ha invece interessi differenti rispetto a quelli dell’Austria, che è un paese di destinazione. Ecco perché il ministro Paolo Gentiloni ha preso posizione contro i governi dell’Europa centrale che vogliono chiudere i confini. “Riteniamo che sulla questione migranti – ha dichiarato ieri - sia necessario decidere insieme in Europa. Decisioni unilaterali, in particolare sulla rotta balcanica, di chiusura delle frontiere, metterebbero a rischio la libera circolazione delle persone creando un effetto domino. Il senso dell’incontro di oggi a Bruxelles è di evitare questi rischi”. Ma anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, che, con il suo atteggiamento aperturista dell’autunno scorso, aveva contribuito non poco ad aumentare il flusso degli emigranti, in questi giorni si schiera per una maggiore chiusura. In un comunicato del governo riportato dalla stampa tedesca domenica, si dice chiaramente che “il flusso irregolare di emigranti lungo la rotta dei Balcani occidentali sta finendo. Questa rotta è chiusa”.

All’estremo opposto dell’Europa, nel passo di Calais, la Gran Bretagna dà anch’essa un giro di vite. Lo ha ribadito ieri il premier conservatore David Cameron, affermando che “non c’è alcuna prospettiva che il Regno Unito si unisca a un piano comune per la gestione dell’asilo politico. Ci siamo chiamati fuori da queste cose con risolutezza e determinazione”. Quindi anche la rotta francese è destinata ad essere chiusa, cosa che sta già provocando attriti fra Londra e Parigi. 

Riassumendo: la Turchia ha gettato la maschera, usa esplicitamente la pedina dell’ondata di profughi ed emigranti per chiedere concessioni politiche e aiuti finanziari. E a questo aut-aut, l’Ue risponde più divisa che mai, alternando prese di posizione sui diritti umani a promesse di chiusura unilaterale delle frontiere.