Per Facebook, minacciare un "fascista" non è reato
Giorgia Meloni è rimasta "appesa a testa in giù", in foto, sulla pagina Facebook dell'assessore Valeria Montanari. Ma il social network non ha avuto nulla da obiettare? Caso vuole che proprio martedì la piattaforma di Zuckerberg aveva pubblicato le sue regole: il divieto all'istigazione all'odio, incredibilmente, non si applica se il bersaglio è "persona pericolosa", le cui caratteristiche sono tutte quelle della destra. Mercoledì quelle regole sono scomparse. Però nella pratica vengono già applicate.
E così per dieci giorni, Giorgia Meloni (deputata e leader di Fratelli d’Italia) è rimasta appesa a testa in giù. Non fisicamente, ma in senso metaforico, in foto, nella bacheca di Facebook dell’assessore Valeria Montanari (Pd) di Reggio Emilia. Quella di pubblicare le foto capovolte dei politici di destra, la Meloni così come Salvini, sta diventando l’ultimo vizio della sinistra. Il richiamo a chi fu appeso a testa in giù in Piazzale Loreto, anche se non dichiarato, è abbastanza esplicito. Anche se chi manda le immagini “in reverse” nega ogni nesso con l’istigazione alla violenza. E’ stata la stessa Montanari a decidere di raddrizzare la foto, dopo una settimana di polemica, una querela annunciata dalla Meloni (sempre su Facebook) e un richiamo da parte di Zingaretti, segretario del Pd.
Facebook, comunque, non ha avuto nulla da dire, per dieci giorni. La piattaforma di Zuckerberg è solitamente sempre attentissima a combattere contro ogni forma di istigazione all’odio, per cui mettere una tripla parentesi (come usa la Alt Right sui nomi ebraici) o pubblicare il cartoon di una rana (altro simbolo della Alt Right) costa sospensioni e ammonizioni. Con le foto dei politici di destra appesi a testa in giù, invece, dimostra una tolleranza piena. E quindi, che fine ha fatto Facebook? Proprio questa settimana il social network più frequentato al mondo è stato al centro di un episodio veramente curioso sull’applicazione delle sue regole contro l’incitazione all’odio. Aveva pubblicato le nuove regole comunitarie in cui specificava che il divieto di “minacciare o istigare la violenza” non si applica ai casi in cui le vittime dell’istigazione siano “Persone e organizzazioni pericolose”. Quindi gli “Inviti ad atti di violenza di particolare gravità” sono vietati “a meno che il bersaglio non sia un’organizzazione o un privato che rientra nella normativa Persone e organizzazioni pericolose”. La stessa regola vale per il divieto su “Affermazioni che promuovono atti di violenza di particolare gravità” che non si applica quando il bersaglio è “un’organizzazione o una persona pericolosa”. Allora quella la puoi insultare, minacciare e intimidire quanto vuoi.
Per “organizzazione pericolosa”, non si intende solo quella terroristica o a delinquere, ma anche: “Qualsiasi associazione di almeno tre persone organizzata con un nome, un segno o simbolo e che porta avanti un’ideologia, dichiarazioni o azioni fisiche contro individui in base a caratteristiche come la razza, il credo religioso, la nazionalità, l’etnia, il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, malattie gravi o disabilità”. Fra le “persone pericolose” va ricordato che Facebook ha bandito attivisti e politici che non sono terroristi, come Milo Yannoupoulos, Alex Jones, Brigitte Gabriel, Candace Owens. Non sono terroristi, sono “sguaiati”, magari. E soprattutto: sono di destra. Facendo caso alle caratteristiche dello “hate speech” si notano infatti tutti i bersagli tipici dell’estrema destra. E magari anche di quella meno estrema, perché non serve molto per finire nel mirino degli occhiuti amministratori, basta scrivere la parola con la N per definire gli afro-americani e quella con la F per gli omosessuali, per essere sospesi per trenta giorni. Con questi criteri ben in mente, provate ad immaginare quanti potrebbero inseriti nella lista dei “pericolosi”? E dunque finire fra le persone che possono essere liberamente insultate, minacciate e intimidite dagli altri utenti?
La polemica su queste nuove direttive è montata in fretta sui social network e qualcuno deve aver fatto notare a chi di dovere che, in questo modo, Facebook stava legittimando la gogna mediatica per i suoi nemici. Mercoledì, senza dare alcuna spiegazione, le direttive sono scomparse. Eppure, quelle regole, paiono proprio la “voce dal sen fuggita”: hanno scritto quello che pensavano e già facevano, anche se non avrebbero potuto metterlo così nero su bianco. D’altra parte Facebook ha dimostrato costantemente di avere strane idee sull’imparzialità. Ad esempio quando, come ha ammesso recentemente lo stesso Ceo Mark Zuckerberg, durante il voto sull’aborto in Irlanda ha bloccato tutti gli spot anti-abortisti, ma ha lasciato quelli di Planned Parenthood (pro-aborto). NewsBuster, sito di debunking vicino alla destra americana, constata che “119 gruppi Antifascisti sono attualmente attivi su Facebook, alcuni tifano per i milkshakes e mattoni da lanciare contro persone con cui non sono d’accordo”. E’ chiaro il riferimento a un milkshake di cemento che è stato lanciato contro il giornalista Andy Ngo, ferito durante una manifestazione antifascista a Portland. Era accusato dai manifestanti di essere “di estrema destra e islamofobo”. Quindi moralmente aperto all’aggressione, perché “persona pericolosa”.