Pell, sentenza rinviata. L’accusa in difficoltà
L’Alta Corte di Canberra ha rinviato il giudizio sul ricorso di George Pell contro la condanna a sei anni per presunti abusi. Nel dibattimento l’accusa ha dovuto ammettere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del cardinale. Per le domande fatte, i giudici sembrerebbero propendere per l’assoluzione. Ma visto il clima anticattolico che ha accompagnato fin qui il processo, gli amici del cardinale si mantengono cauti e chiedono preghiere.
Poteva essere il giorno della sentenza definitiva per il cardinale George Pell, detenuto nel penitenziario di massima sicurezza di Barwon con l’infamante condanna a sei anni per abusi sessuali su minori. C’era grande attesa per il verdetto dell’Alta Corte di Canberra sul secondo ricorso presentato dal porporato. Ma ieri, secondo giorno di udienza nell’imponente palazzo inaugurato nel 1980 dalla regina Elisabetta II, è arrivato il rinvio: i sette giudici si sono riservati il giudizio a data da destinarsi.
I togati hanno chiesto alle parti l’invio di ulteriori osservazioni scritte da consegnare entro due giorni lavoravi. Pell, dunque, resta per il momento dietro alle sbarre, in attesa di una decisione che potrebbe arrivare anche fra mesi. L’ex arcivescovo di Sydney non era presente in aula nei due giorni di udienza durante i quali si è discusso soprattutto dell’atteggiamento della maggioranza della Corte suprema di Victoria: secondo il suo legale, i due giudici (su tre) non potevano dirsi soddisfatti oltre ogni ragionevole dubbio della tesi dell’accusa sulla base di una sola testimonianza, a fronte delle venti, invece, favorevoli a quella della difesa.
Su questo punto specifico, Bret Walker, avvocato del porporato, ha contestato l’utilizzo della testimonianza video del denunciante che - a suo parere - avrebbe influenzato nella decisione finale due dei tre giudici del collegio. Tra le osservazioni presentate, la difesa ha evidenziato che «la vera domanda non è: “credo al denunciante?”. Ma se, dopo aver creduto al denunciante, sussistano ragionevoli dubbi sulla colpa».
Non è stato un dibattimento facile per il direttore della pubblica accusa, Kerri Judd, più volte incalzata dall’agguerrito Walker e costretta ad ammettere che la testimonianza del maestro delle cerimonie della cattedrale, monsignor Charles Portelli, che aveva riferito della pratica dell’allora arcivescovo di salutare i parrocchiani sui gradini della chiesa al termine della Messa, poteva far sollevare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di Pell.
Davanti a quest’evidenza, Virginia Bell, uno dei sette giudici della Corte Suprema, le ha chiesto spiegazioni sul suo modo di procedere. Se la più alta istanza giudiziaria del Paese dovesse riconoscere che anche nel giorno dei fatti contestati il futuro porporato si trattenne, come da consuetudine, sul sagrato della Cattedrale di Melbourne per almeno dieci minuti, si aprirebbe la strada per un ribaltamento del giudizio: per il prelato, infatti, non ci sarebbe stato il tempo per abusare dei minorenni in sagrestia. La difesa ha insistito molto sull’improbabilità del reato contestato all’ex prefetto della segreteria per l’Economia del Vaticano e ha sostenuto che i giudici vittoriani Ann Ferguson e Chris Maxwell - di parere opposto rispetto a Mark Weinberg - avrebbero commesso un errore a richiedere all’imputato di dimostrare l’impossibilità del reato perché così facendo avrebbero invertito l’onere della prova.
Era prevedibile che l’Alta Corte si riservasse la decisione: questo esito non va contro le speranze di Pell di riottenere la libertà. L’andamento del dibattimento, poi, sembrerebbe essere stato piuttosto favorevole alla tesi difensiva. Lo ha confermato Jeremy Gans, docente alla Melbourne Law School e presente alla due giorni di audizioni a Canberra: “È stata una giornata molto buona per Pell - ha commentato il professore - il dato che risalta è che le domande (dei giudici della Corte Suprema, ndr) sembravano principalmente indirizzate ad argomenti a sostegno dell’assoluzione e non erano particolarmente comprensive verso l’accusa”.
Nonostante l’ottimismo che serpeggia (non da oggi) tra gli addetti ai lavori, collaboratori e amici del cardinale Pell continuano a predicare cautela e a chiedere preghiere per lui, visto l’indirizzo che ha contraddistinto questa vicenda giudiziaria sin dall’inizio, un indirizzo determinato dalla forte pressione dell’opinione pubblica anticattolica manifestatasi anche ieri e l’altro ieri fuori dal tribunale con manifestanti che invocavano le fiamme dell’Inferno.
Ma fuori dall’edificio di Canberra, in attesa di un verdetto che non c’è stato, non c’erano soltanto i ‘colpevolisti’: gruppi di fedeli si sono radunati, infatti, esponendo cartelli e intonando cori e preghiere a sostegno dell’ex ecclesiastico caduto in disgrazia. Da segnalare, in particolare, la presenza di un centinaio di vietnamiti cattolici arrivati di mattina prestissimo in autobus da Sidney per supportare nel momento più importante il vecchio pastore che guidò la loro arcidiocesi dal 2001 al 2014.