Pd: guerra fra politici che mirano solo a sopravvivere
Nel Pd la scissione è compiuta. Siamo ai dettagli, ma la separazione tra renziani e antirenziani era nell’aria e si è consumata. L'evento che influenzerà i prossimi equilibri del paese (e il destino del governo) è motivato da meri personalismi. Tutte le parti in causa mirano solo alla loro personale sopravvivenza politica.
La scissione è compiuta. Siamo ai dettagli, ma la separazione tra renziani e antirenziani era nell’aria e si è consumata.
Il Partito democratico così come l’avevamo conosciuto ormai non c’è più. La guerra tra bande che si è scatenata nelle ultime settimane, e della quale abbiamo avuto la rappresentazione plastica nell’assemblea di partito di ieri, è figlia di due istinti di sopravvivenza: quello di Matteo Renzi, che, dopo aver annunciato di voler lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre, si è rimangiato tutto e continua a tramare per tornare al più presto a Palazzo Chigi, e quello dei suoi oppositori interni, che, anziché lavorare al servizio del Paese meritandosi lo stipendio di parlamentari, trascorrono le loro giornate a organizzare caminetti e riunioni più o meno carbonare nel tentativo di disarcionare il segretario e di salvare la poltrona anche per la prossima legislatura.
Non ci sono altre ragioni alla base della lotta fratricida che sta lacerando in queste ore il più grande partito italiano e che rischia di avere effetti devastanti sugli equilibri politici nazionali e sul prosieguo della legislatura.
Il segretario non ha ceduto alle richieste della minoranza e si è dimesso, aprendo di fatto la stagione congressuale che, entro qualche mese, lo porterà a riconquistare con certezza, numeri alla mano, la segreteria del partito. A quel punto, però, dopo una legittimazione forte, avrebbe il potere di gestire in modo dispotico la preparazione delle liste elettorali, escludendo tantissimi attuali parlamentari che non stanno con lui. Morale: bersaniani, dalemiani e altre frange di antirenziani, restando nel partito, avrebbero la matematica certezza di non essere ricandidati. Di qui l’accelerazione nei “distinguo” e verso una scissione che consentirebbe a chi la sta orchestrando di raccogliere, stando ai sondaggi, il 10% di consensi. Nell’attuale sistema proporzionale ciò equivarrebbe a un cospicuo numero di seggi, probabilmente indispensabili al centrosinistra per tentare di governare anche nella prossima legislatura. In questo modo gli scissionisti avrebbero la certezza di tornare in Parlamento (perfino Massimo D’Alema, che si dichiarava ormai distante dalla politica nazionale, sarebbe pronto a candidarsi al Senato) e di essere determinanti. Facile prevedere che porrebbero un veto al ritorno di Renzi a Palazzo Chigi.
Alla fine dell’assemblea del partito, ieri sera, i tre scissionisti, l’ex capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, il governatore della Puglia, Michele Emiliano e quello della Toscana, Enrico Rossi, hanno diffuso un comunicato che non lascia dubbi sulle tappe future: sarà scissione. Ieri pomeriggio sembrava potesse esserci il colpo di scena. Dei tre antirenziani pronti a “varcare il Rubicone”, Speranza e Rossi sembravano più decisi, mentre il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (che pare sia in contatto molto stretto con Silvio Berlusconi) aveva frenato sul più bello, dichiarando fiducia in Renzi. Ma poi si è capito che non c’erano margini di ricomposizione. Con buona pace dei pontieri come Franceschini, Veltroni, Fassino.
Ora si apre una fase nuova per la Sinistra Italiana. Facile prevedere che si salderà un asse tra gli scissionisti e Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni, Giuliano Pisapia e Laura Boldrini, che potrebbe addirittura togliere lo scettro di quell’area politica al Pd di Renzi.
Tutto dipenderà dai tempi. Se la legislatura dovesse durare fino alla scadenza naturale, questo rimescolamento di carte a sinistra, che pure passerà dal prevedibile plebiscito congressuale pro-Renzi, potrebbe condurre a esiti imprevedibili. Intanto renziani e antirenziani, per pura tattica, si rinfacciano le responsabilità della scissione. Ma il centrodestra saprà approfittare di questi lavori in corso sull’altro fronte? O a beneficiarne sarà il Movimento Cinque Stelle?