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«Viola la privacy»

Pass vaccinale, il garante bacchetta il governo

Il decreto riaperture è illegittimo se rende obbligatorio un pass che identifica i vaccinati. Lo dice il Garante della privacy che ha osservato come non ci sia una base normativa idonea in materia di protezione dei dati. «Non si può affidare a un decreto legge il potere di incidere su diritti individuali come la libertà e la riservatezza». Bisogna passare dal Parlamento.

Attualità 25_04_2021

Il pass vaccinale mette a rischio la nostra privacy. Non lo dice un partito anti-governativo ma il Garante, che ha inviato un avvertimento formale all’esecutivo affinchè torni sui suoi passi.

La questione è squisitamente giuridica, non politica, e riguarda la protezione della nostra riservatezza. La disinvoltura con la quale per oltre un anno sono stati dichiarati e prorogati stati d’emergenza e varate misure straordinarie non sempre fondate su evidenze scientifiche dovrebbe oggi suggerire maggiore prudenza quando sono in gioco le libertà individuali.

«La norma appena approvata per la creazione e la gestione delle “certificazioni verdi”, i cosiddetti pass vaccinali, presenta criticità tali da inficiare, se non opportunamente modificata, la validità e il funzionamento del sistema previsto per la riapertura degli spostamenti durante la pandemia. È quindi necessario un intervento urgente a tutela dei diritti e delle libertà delle persone». Così esordisce l’Autorità garante per la protezione dei dati personali nel suo comunicato di due giorni fa con cui avanza riserve e avverte l’esecutivo dei rischi che sta correndo inserendo nel decreto riaperture la misura relativa al pass.

Il Garante osserva innanzitutto che quel decreto non garantisce una base normativa idonea per l’introduzione e l’utilizzo dei certificati verdi su scala nazionale, ed è gravemente incompleto in materia di protezione dei dati, privo di una valutazione dei possibili rischi su larga scala per i diritti e le libertà personali.

In effetti, già il primo marzo, in un comunicato ufficiale, il Garante metteva le mani avanti: «I dati relativi allo stato vaccinale sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali».

Proprio per questa ragione, non si può affidare a un decreto legge, che produce effetti immediatamente, anche prima dei 60 giorni di tempo a disposizione per la conversione in legge, il potere di incidere su diritti individuali così importanti come la libertà e la riservatezza. Occorre fin da subito il coinvolgimento del Parlamento, che è sovrano, e appare una forzatura lasciare campo libero al governo su questa materia.

«Il Garante ritiene, pertanto – è sempre la nota dell’1 marzo - che il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza».

E la conclusione dell’1 marzo era perentoria e inequivocabile: «In assenza di tale eventuale base giuridica normativa - sulla cui compatibilità con i principi stabiliti dal Regolamento Ue il Garante si riserva di pronunciarsi - l’utilizzo in qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo».

Quindi il decreto riaperture è illegittimo se rende obbligatorio un pass che identifica i vaccinati. Peraltro l’8 aprile il Presidente dell’Autorità Garante, Pasquale Stanzione aveva rappresentato alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica la necessità di un coinvolgimento preventivo dell’Autorità nel processo legislativo, in relazione all’introduzione dei passaporti vaccinali. E ancora mercoledì scorso aveva ribadito con una nota scritta al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della salute la necessità di coinvolgere l’Autorità in fase di adozione dell’atto normativo in materia di passaporti vaccinali.

Non ci sono, peraltro, solo riserve di natura formale. C’è anche una sostanza molto problematica.

«In contrasto con quanto previsto dal Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali – ha detto 2 giorni fa il Garante - il decreto non definisce con precisione le finalità per il trattamento dei dati sulla salute degli italiani, lasciando spazio a molteplici e imprevedibili utilizzi futuri, in potenziale disallineamento anche con analoghe iniziative europee. La norma prevede inoltre un utilizzo eccessivo di dati sui certificati da esibire in caso di controllo, in violazione del principio di minimizzazione».

Per garantire, ad esempio, la validità temporale della certificazione, sarebbe stato sufficiente prevedere un modulo che riportasse la sola data di scadenza del green pass, invece che utilizzare modelli differenti per chi si è precedentemente ammalato di Covid o ha effettuato la vaccinazione. «Il sistema attualmente proposto, soprattutto nella fase transitoria, rischia, tra l’altro –avverte il Garante- di contenere dati inesatti o non aggiornati con gravi effetti sulla libertà di spostamento individuale».

Non sono infine previsti tempi di conservazione dei dati né misure adeguate per garantire la loro integrità e riservatezza, il che accresce i dubbi e le perplessità, oltre che i timori per la riservatezza dei nostri dati sensibili.

In altre parole l’Italia, anziché accelerare sulle riaperture e sulla restituzione ai cittadini delle libertà fondamentali sottratte senza andare troppo per il sottile per oltre un anno, accelera ancora sull’estensione delle restrizioni e dei divieti. Pare che la certificazione studiata dall’Europa per consentire la circolazione delle persone nel rispetto delle misure anti-Covid sia più garantista di quella contenuta nel decreto riaperture varato dal Governo italiano, che domani dovrebbe entrare in vigore e che prevede il passaporto vaccinale per spostarsi da zone gialle a zone arancioni o rosse e viceversa. Un brutto segnale, che va a sommarsi alle comprovate dimostrazioni della inutilità dei passaporti vaccinali per combattere la diffusione del virus.