Parte in sordina la missione italiana in Kurdistan
Durante le festività natalizie, con grande discrezione, arrivavano a Erbil, Kurdistan, i primi uomini del contingente militare italiano. Saranno in tutto 500, fra cui 220 aviatori impegnati già da mesi in pattuglie di ricognizione. Il grosso delle forze dovrà addestrare i combattenti curdi.
Il contingente militare terrestre italiano assegnato alle operazioni della Coalizione contro lo Stato Islamico (Is) ha iniziato a schierarsi a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. I primi 34 militari dell’esercito, per lo più genieri e fanti, sono sbarcati da un cargo C-130 pochi giorni prima di Natale e hanno già iniziato le attività di addestramento e consulenza dei “peshmerga” curdi istruendoli alle tecniche di individuazione e neutralizzazione delle mine e degli ordigni improvvisati e all’impiego dei lanciarazzi anticarro del tipo Folgore, surplus del nostro esercito e consegnati in ampie quantità ai curdi.
I militari sono ospitati nella grande base statunitense costituita negli ultimi mesi all’aeroporto di Erbil, ma in gennaio prenderà il via la realizzazione di un campo italiano che ospiterà circa 200 uomini tra istruttori, consiglieri, team delle forze speciali e unità addette a logistica e sicurezza. Altri 80 militari italiani verranno invece assegnati come consulenti ai comandi iracheni a Baghdad in vista dell’offensiva governativa tesa a liberare Tikrit e Mosul e tutto il nord Iraq il cui inizio è considerato da molti ormai imminente.
L’operazione italiana, che in totale impegnerà oltre 500 militari inclusi i 220 dell’aeronautica già da tempo schierati in tre aeroporti del Kuwait con 2 droni Predator, un’aerocisterna KC-767A e 4 bombardieri Tornado (disarmati e utilizzati solo come ricognitori), è stata battezzata “Prima Parthica”, dal nome di una Legione romana costituita nel II secolo con combattenti siriani e basata a Sinjar, al confine con la Siria in una regione abitata soprattutto dalla minoranza yezida costretta a fuggire davanti all’avanzata dell’Is e teatro nei giorni scorsi di un’offensiva curda contro le milizie dello Stato Islamico.
Le forze italiane pare verranno poste sotto il comando della Germania che schiera già da molte settimane suoi consiglieri militari a Erbil e che sta inglobando anche unità addestrative più ridotte fornite da altri Paesi europei. Fonti ben informate riferiscono però che Roma assumerà un ruolo di leadership dal giugno prossimo quando il comando del contingente europeo passerà a un ufficiale italiano pur nell’ambito di un’operazione che resterà a guida statunitense.
A differenza dei legionari di Roma, i militari italiani in Iraq non dovrebbero venire coinvolti in combattimento. Il governo lo ha assicurato più volte e per esserne certi ha vietato l’imbarco di ordigni sui 4 bombardieri Tornado assegnati alle operazioni aeree sull’Iraq e che costituiscono l’unico reparto di aerei da guerra presente nella Coalizione a non poter colpire i jihadisti. Una limitazione patetica e ridicola al tempo stesso. Patetica se l’obiettivo del governo Renzi è non apparire troppo bellicosi nei confronti del Califfato dal momento che aderendo alla Coalizione e armando i curdi l’Italia è già dall’agosto scorso belligerante a tutti gli effetti.
Ridicola perché pone i piloti della nostra aeronautica in una condizione di inferiorità operativa nei confronti dei colleghi degli altri Paesi della Nato limitando le loro missioni alla sola ricognizione e infatti nei bollettini quotidiani del Central Command dedicati alle operazioni aeree l’Italia non viene nemmeno citata.
Qualche ambiguità sembra nascondersi anche dietro l’invio di forze speciali, a quanto pare una cinquantina di uomini che a differenza dei loro colleghi americani, britannici e australiani non dovrebbero venire impiegati i prima linea. Tuttavia pare certo che alle forze italiane verranno assegnati mezzi ruotati Lince ed elicotteri da trasporto Nh-90 e Ch-47 utili per evacuazioni sanitarie e trasporto di uomini e materiali, ma anche per portare in azione le forze speciali.
Circa le consuete ambiguità italiche va citata anche la “gaffe” del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che in visita a Baghdad e Erbil è stato travolto forse dalla foga di imprimere “connotati di pace” alla missione italiana e ai giornalisti ha specificato che per i nostri militari in Iraq «non saranno necessarie regole di ingaggio» perché non verranno coinvolti nei combattimenti.
Affermazione comica oltre che errata dal momento che ai militari vengono sempre impartite le regole d’ingaggio (che stabiliscono in quali contesti e condizioni e con quali modalità è consentito loro l’uso delle armi) anche quando operano sul territorio nazionale come ad esempio l’operazione di ordine pubblico “Strade Sicure”.
Per intenderci viene sempre garantita l’autodifesa e per le forze in Kurdistan forse anche qualcosa di più per proteggersi e reagire ad azioni terroristiche e dai sempre possibili attacchi delle milizie dello Stato Islamico. Come fanno notare fonti militari l’assenza di coinvolgimento degli italiani nei combattimenti è poco più di un auspicio perché è ovvio che anche consiglieri e istruttori occidentali rappresentano per il Califfato un legittimo obiettivo bellico e, se presi di mira, i nostri militari devono poter reagire con la massima efficacia.
Nessun dettaglio è stato fornito per ora circa la durata e i costi dell’operazione “Prima Parthica” che potrebbe svilupparsi almeno per tutto il 2015. Considerati i mezzi, i velivoli (almeno una dozzina tra aerei, droni ed elicotteri) e il numero di militari messi in campo è ragionevole ipotizzare un costo annuo di circa 150 milioni di euro.