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a cura di Stefano Fontana

Il caso Schillaci

Paradossi liberali della “salute di Stato”

Il dietrofront sulle nomine del Nitag ha fatto tornare d’attualità la discussione su come era stato interpretato, ai tempi del Covid, l’articolo 32 della Costituzione. Un cortocircuito liberale.

Dottrina sociale 22_08_2025

Con il “caso Schillaci” e la richiesta di dimissioni del ministro della Salute per la nota questione del Nitag (Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni) e delle nomine annunciate e poi ritirate per debolezza politica, si è tornati a parlare alla grande di come era stato interpretato, ai tempi del Covid, l’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute e sul dovere dello Stato di garantirlo nella pratica. Molto opportuna è stata la pubblicazione su filodiritto.com di un approfondito studio di Rudi Di Marco sul paradosso liberale della “Salute di Stato” [vedi qui], al quale rimandiamo, soffermandoci su un punto di particolare interesse.

Di Marco ricorda che «già nel 1991 la Corte costituzionale affermò – il caso riguardava la renitenza alla leva – che “la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta […] un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione [stessa] come inderogabili”, la portata del diritto all’autodeterminazione assoluta della volontà parrebbe estendersi fino al superamento di posizioni normativo-soggettive definite inderogabili dal medesimo Testo costituzionale». In altre parole, la cosiddetta libertà di coscienza sarebbe da intendersi come superiore alla stessa Costituzione. Questo, perché, secondo Di Marco, la visione della persona della nostra Costituzione sarebbe quella liberale incentrata sull’autodeterminazione assoluta del soggetto. La fonte dei diritti non sarebbe il diritto naturale, ma questa volontaristica autodeterminazione soggettiva. Ma allora, a proposito del Covid, bisognerebbe dedurre per analogia che il soggetto, appellandosi a questa volontaristica libertà di coscienza, avrebbe potuto opporsi alla vaccinazione, anche se imposta per legge.

Opportunamente Di Marco si chiede «come mai e per quali ragioni la stessa Corte costituzionale che nel 1991 sentenziò quanto appena veduto, e che in altre occasioni affermò essere il diritto all’assoluta autodeterminazione della volontà come il più fondamentale fra i diritti fondamentali dell’uomo, essendo investita, per esempio nel 2023, della questione inerente la legittimità costituzionale degli obblighi vaccinali entrati in vigore durante la c.d. emergenza sanitaria, non rilevò l’illegittimità degli obblighi stessi, che considerò coerenti e compatibili coll’impianto costituzionale». In realtà la risposta era già stata data dall’autore nell’insieme della trattazione precedente e suona così: la visione positivistica e liberale dei diritti da una parte li esalta in via assoluta collegandoli con il principio di autodeterminazione, ma poi li fa comunque dipendere dalle norme positive e dalla loro «positivistica» interpretazione giurisprudenziale.

L’articolo 32 della Costituzione è inteso come la condizione per la legalità dell’imposizione di un trattamento sanitario nel mentre si fa riferimento alla persona come limite che neppure la legge potrebbe violare: le due contrastanti posizioni restano un riferimento positivistico cui la legge dà, di volta in volta, il contenuto che essa vuole e che la Corte costituzionale – interprete della Costituzione – altrettanto modula secondo i propri orientamenti. La concezione liberale positivistica del diritto non fonda quindi nessun “diritto” ma solo “spazi” di azione personale, di volta in volta delimitati dal potere giuridico stesso.

Stefano Fontana