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IL DIALOGO

Papa ed ebrei, prima l'amicizia poi la teologia

Papa Francesco, alla sinagoga di Roma, ha insistito sulla continuità della sua visita con quelle di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, constatando come le relazioni si siano fatte più cordialiNon ha approfondito i complessi problemi teologici dei rapporti fra cattolici ed ebrei, invitando a meglio studiarli.

Editoriali 18_01_2016
Papa Francesco nella Sinagoga di Roma

Il 17 gennaio 2016 Papa Francesco ha visitato la sinagoga di Roma. Ha insistito sulla continuità della sua visita con quelle di san Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI esattamente sei anni fa, il 17 gennaio 2010, e con il Magistero espresso dal Concilio Vaticano II nella dichiarazione Nostra aetate. Non ha approfondito i complessi problemi teologici dei rapporti fra cattolici ed ebrei, invitando a meglio studiarli ed approfondirli con «discernimento», ma ha constatato come le relazioni, nei trent’anni dalla visita di Papa Wojtyla, si siano fatte più strette e cordiali.

Francesco ha ricordato che «già a Buenos Aires ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino della storia». Questa frequentazione ha creato «autentici rapporti di amicizia» ed è stata occasione di ribadire un punto cruciale della Nostra aetate: fra ebrei e cristiani «c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune».

Francesco ha ripetuto l’espressione coniata da san Giovanni Paolo II nel 1986: «voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». E l’ha spiegata così: insieme «apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo». Il Papa è poi tornato sul recente cinquantesimo anniversario della Nostra aetate, il documento «che ha reso possibile il dialogo sistematico tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo». E ha ripetuto le parole pronunciate l’anno scorso in occasione del cinquantenario: «Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi cinquant’anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli». Francesco ha ricordato i “sì” e i “no” del documento conciliare: «“sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano».

Il Papa ha pure ammesso che la Nostra aetate «non ha risolto tutte le questioni teologiche», anche se ha fornito «un importantissimo stimolo per ulteriori, necessarie riflessioni». Ha citato il documento pubblicato il 10 dicembre 2015 dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, senza entrare però nei temi più dibattuti e controversi ma limitandosi ad affermare che «la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza». Al di là di questioni specifiche, «da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele».

Il dialogo non è solo teologico. Cristiani ed ebrei possono dialogare su problemi attuali, cominciando dalla «ecologia integrale»: «come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato». Il dialogo deve poi proseguire sulla giustizia e la pace. «La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche». Francesco ha ricordato anche la difesa della vita, che «è sacra, quale dono di Dio». Il Dio della Bibbia «è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso».  «Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita».

«Il popolo ebraico, ha aggiunto Francesco, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro». La Shoah ci insegna che «occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace».

Francesco ha concluso con due citazioni dell’Antico Testamento. La prima, da Geremia, ci insegna che «Dio ha per noi progetti di salvezza»: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). La seconda è dal libro dei Numeri: «Che il Signore ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace» (cfr Nm 6,24-26).