Pakistan, quella volta che i cristiani hanno ucciso
Proseguono le conseguenze drammatiche del duplice attentato contro i cristiani a Lahore e della prima reazione violenta della comunità locale, che ha portato al linciaggio di due musulmani innocenti. La condanna della Chiesa per la risposta violenta è molto chiara. Ma ora si temono le vendette, anche delle autorità.
Come un forte terremoto, il duplice attentato contro chiese cristiane di Lahore del 15 marzo scorso sta provocando una serie di scosse di assestamento e continua a far vittime. Continuano a morire i feriti: la conta dei morti è arrivata a 17. Continua la paura: è di ieri l’ultimo episodio di violenza, colpi di pistola esplosi contro i poliziotti di guardia alla chiesa cattolica di San Pietro. E soprattutto, per la prima volta, l’opinione pubblica pakistana sta affrontando un fenomeno veramente inedito: la violenta risposta della minoranza cristiana. Si contano già decine di arresti per il linciaggio di due cittadini musulmani subito dopo l’attentato.
All’agenzia Fides, padre Gulzar, parroco della chiesa di San Giovanni (una delle due colpite nell’attentato) e Vicario generale dell’arcidiocesi di Lahore, ha fatto il punto della situazione: “La polizia sta visionando i filmati e continuando ad arrestare alcuni cristiani di Youhanabad, per cercare i colpevoli del linciaggio di due musulmani seguito all’attentato”. Secondo fonti ufficiali della polizia di Lahore, i cristiani arrestati nei giorni subito dopo la strage, a causa di disordini e proteste, sono 35. Domenica 22 marzo, in un raid a Youhanabad, gli agenti hanno arrestato altre 40 persone. Quindi sono 75 le persone detenute.
La risposta violenta della minoranza cristiana è stata una reazione contro le autorità, prima di tutto. Perché la polizia si è dimostrata quantomeno assente nel momento del bisogno. Tuttavia è degenerata in un pogrom. Due sospetti complici degli attentatori talebani, detenuti dalla polizia, sono stati poi rilasciati e letteralmente consegnati nelle mani della folla inferocita. La manifestazione è così degenerata. I due musulmani assassinati erano innocenti, la loro unica colpa era quella di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. E si sente tutto il dolore per questa ingiustizia nelle parole di padre Gulzar: “è molto triste quanto accaduto dopo la strage. I cristiani si sono macchiati di un crimine, la reazione violenta non è cristiana e non è evangelica. Non ci si può fare giustizia da soli. Gli uccisi , secondo i primi rapporti, potrebbero essere persone innocenti. E’ la prima volta nella storia del Pakistan che i cristiani, da vittime, si fanno carnefici. E’ stato un atto disumano che tutti condanniamo. Speriamo che sia sempre la giustizia a trionfare”. Tuttavia resta il sospetto che la polizia stia ora calcando troppo la mano nelle indagini. Che fra i cristiani arrestati, cioè, vi siano anche persone che non c’entrano nulla con il pogrom. “E’ giusto che i responsabili siano individuati e condotti davanti alla giustizia. Ma, con i leader religiosi e politici, chiediamo di rilasciare gli innocenti, perché è possibile che ve ne siano”, commenta a caldo il parroco di S. Giovanni.
I colpi esplosi di fronte alla chiesa di San Pietro, ieri, sono quasi certamente una prima vendetta musulmana per il pogrom. E in questo caso, però, la polizia (già in allerta da due settimane) ha risposto al fuoco e allontanato gli assalitori. Non ci sono state vittime, solo due passanti leggermente feriti. Per evitare di innescare una spirale di violenza vera, fra l’intera minoranza cristiana e l’intera maggioranza musulmana, sia le autorità religiose musulmane che i vescovi stanno cercando di isolare la matrice jihadista dell’attentato del 15 marzo. Gli jihadisti, dicono, sono una cellula impazzita della società e colpiscono indistintamente tutti, musulmani “apostati”, “protestanti” (sciiti) e “nazareni” (cristiani di ogni confessione). Il loro obiettivo è destabilizzare il Pakistan nel suo insieme, secondo l’arcivescovo di Karachi, Joseph Coutts ad Avvenire: “Siamo una democrazia e questo dà fastidio ai fautori dell’islam più intransigente. Per questo cercano di destabilizzare il governo e creare terrore nella popolazione”. Anche i leader religiosi musulmani dialoganti prendono le distanze dai terroristi islamici e chiedono la protezione del governo per le chiese e per la minoranza cristiana. In una manifestazione a Lahore, il 20 marzo scorso, il Muftì Muhammad Usman, leader religioso islamico e membro della fazione di Samiul Haq del Jamiyat Ulema-e-Islam (Jui), ha dichiarato: “E’ responsabilità dello Stato fornire protezioni ai luoghi religiosi del Paese. Il governo ha fallito nel proteggere le minoranze del Pakistan. I cristiani non sono solo una minoranza religiosa in questo Paese, ma nostri fratelli, parte dello Stato come i musulmani. Secondo l'islam è nostra responsabilità proteggere le loro vite e i loro beni da ogni forma di terrorismo”. Usman ha aggiunto: “La condanna verbale del nostro governo agli attacchi di Youhanabad non è sufficiente. Servono azioni concrete. Il terrorismo è una questione nazionale e per questo dobbiamo essere uniti e lottare contro questi terroristi disumani”.
Le due comunità, però, non possono essere messe sullo stesso piano della colpa. I cristiani, fino a due settimane fa, hanno sempre e solo subito la violenza della maggioranza musulmana. Anche su questa indagine, riguardo al linciaggio di due musulmani innocenti, padre Gulzar chiede giustizia uguale per tutti. “Molti si chiedono: dove sono gli assassini del ministro Shahbaz Bhatti? Dove sono i colpevoli della strage di Gojra, dove nel 2009 una folla di musulmani devastò un quartiere cristiano bruciando vivi otto fedeli tra bambini, donne e anziani? Dove sono i colpevoli del linciaggio dei coniugi cristiani arsi vivi a Kot Radha Kishan a novembre, 2014?”
E gli episodi citati dal Vicario di Lahore sono solo quelli più celebri, perché, in totale, secondo stime pakistane, solo negli ultimi due anni i cristiani hanno subito 36 attacchi violenti, 265 sono stati assassinati in attentati terroristici e 21 sono stati processati per “blasfemia”. Non si può parlare di persecuzione?