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SCONTRI NEL PAESE

Pakistan ostaggio dell'islamismo estremista

L'estremismo islamista in piazza contro la riforma elettorale "laica" ottiene le dimissioni del ministro della Giustizia. Vietata ai cattolici la processione di Cristo Re. Un clima incendiario a pochi giorni dalla sentenza per Asia Bibi. 

Libertà religiosa 29_11_2017

Ali Jinnah si starà rivoltando nella tomba vedendo il governo del Pakistan soccombere all’ideologia islamista. Il padre della patria era uno sciita ismaelita, ma quando il Pakistan nacque nel 1947 volle uno Stato laico. Che oggi il paese sia una Repubblica islamica lo si capisce anche dalle dimissioni del ministro della Giustizia, Zahid Hamid, avvenute il 27 novembre dopo che per quasi un mese migliaia di estremisti hanno bloccato una delle arterie principali della capitale, quella che collega Islamabad a Rawalpindi, chiedendo la sua testa.

Le proteste, cominciate il 6 novembre, hanno carattere religioso. Tutto nasce da un riforma della legge elettorale approvata dal governo federale in ottobre, che ha leggermente modificato il giuramento che tutti i parlamentari devono fare. Se prima era previsto che tutti “giurassero solennemente” sul “sommo profeta” Maometto, ora la dicitura è cambiata e prevede che i deputati dicano “credo”. La nuova dicitura è più rispettosa dei fedeli in altre religioni, ma l’omaggio a Maometto resta. Eppure è bastata una piccola modifica per scatenare un putiferio. Circa tremila manifestanti del partito radicale Tehreek-i-Labaik Ya Rasool Allah, guidato dall’imam Khadim Hussain Rizvi, hanno bloccato uno dei maggiori ingressi alla capitale, creando disagi al traffico e costringendo la polizia a chiudere scuole e negozi nei pressi del sit-in.

Nel fine settimana sono anche avvenuti scontri sanguinosi tra esercito e protestanti, dopo che questi ultimi hanno ignorato un ultimatum lanciato dal governo. Neanche l’intervento delle forze dell’ordine è servito ad allontanare i manifestanti, così come non è bastato agli estremisti un video realizzato dal ministro Hamid, nel quale recitava il giuramento e dichiarava di «amare il profeta Maometto dal profondo del cuore», aggiungendo di «essere pronto a sacrificare la mia vita per tutelare il suo onore e la sua santità».

L’accusa di aver fatto approvare una legge blasfema ha surriscaldato ancora di più il clima, viste le tensioni legate a questa accusa in Pakistan. Alla fine, il braccio di ferro è stato vinto nettamente dai manifestanti, che si sono dispersi solo dopo avere ottenuto le dimissioni del ministro. Il Pakistan si conferma così tristemente un paese sotto lo scacco degli estremisti islamici. Non solo il governo ha dovuto cedere davanti alle pressioni, ma anche i cristiani hanno risentito degli slogan gridati a squarciagola in piazza: “C’è solo una punizione per chi disonora il profeta: il taglio della testa”. Il 26 novembre era prevista una processione pubblica per la festa di Cristo Re, che le autorità hanno insistito per cancellare, per non rischiare lo scoppio di nuove violenze. L’atmosfera, dicono i cristiani locali, è di “paura e terrore”. Dal 1986, da quando cioè il dittatore Zia ul-Haq ha modificato la legge sulla blasfemia, sono state incriminate circa 1000 persone, tra le quali 479 musulmani, 340 ahmadi e più di 120 cristiani. La legge, oltre ad essere discriminatoria in sé, dal momento che prevede la blasfemia solo per offese al “Corano” e a “Maometto”, viene spesso abusata per risolvere dispute personali.

Ed è in questo clima che a breve potrebbe esserci l’udienza finale del processo di Asia Bibi, la madre cattolica di cinque figli in carcere da oltre tremila giorni per false accuse di blasfemia per avere bevuto un bicchiere d’acqua. In piazza i manifestanti hanno invocato l’impiccagione per la donna e secondo il suo avvocato, Saiful Malook, «l’udienza è imminente, questione di giorni o di poche settimane. Le nostre speranze però non si sono mai spente. In definitiva abbiamo fiducia nella giustizia».