Padre Ibrahim: "la nostra presenza è una missione e non ci arrendiamo"
Nella città siriana lacerata da tre anni di guerra civile, il parroco padre Ibrahim Alsabagh, francescano, racconta la guerra e la fede. Nella sofferenza del conflitto, "Quello che dobbiamo imparare tutti è vivere con maggiore radicalità la nostra fede". Nella persecuzione, "preghiamo ogni giorno per chi ci uccide. Offriamo la messa per la loro conversione".
"L'ISLAM MODERATO NON ESISTE" di Matteo Matzuzzi
“La nostra presenza è una missione, e non ci arrendiamo. Amiamo di più, perdoniamo di più, testimoniamo di più”. Frate francescano e siriano di origini, padre Ibrahbim Alsabagh è da un anno il parroco di Aleppo. Intervenuto al Meeting di Rimini dopo un viaggio durato due giorni, racconta cosa significa vivere in Siria tra Al Qaeda e l’Isis, ogni giorno sotto le bombe, ogni ora in pericolo di vita.
Padre Ibrahim, come è possibile che non prevalga il lamento davanti a una situazione così drammatica?
Percepisco la sofferenza quotidianamente, perché siamo umani, ma personalmente la sofferenza più difficile da sopportare è vedere soffrire i figli che il Signore mi ha affidato. Ma non possiamo fermarci lì. Ad Aleppo riusciamo a cogliere i segni della presenza fisica del Signore, che a volte - forse quando c’è troppa prosperità - non riusciamo a percepire. Anche il buon ladrone aveva percepito i segni del Signore, proprio mentre stava soffrendo sulla croce. E così è per noi. Con gli occhi della fede e della speranza possiamo davvero scorgere la presenza di Cristo dentro la guerra.
Cosa possiamo imparare noi cristiani d’occidente dalla vostra testimonianza?
Quello che dobbiamo imparare tutti è vivere con maggiore radicalità la nostra fede. Noi ogni giorno siamo chiamati a questa sfida, a essere più attaccati al Signore. Siamo chiamati a un abbandono fiducioso e totale nelle Sue mani, perché siamo diventati poveri e impotenti, ma Lui potrà darci la vittoria e arricchirci con le Sue grazie e i bisogni quotidiani. E’ questo che ci dà fiducia e gioia. Perché anche in Siria si impara la gioia dell’essere cristiani. Ad esempio, riusciamo ad apprezzare di più il valore dell’acqua. Quanto più ne sentiamo la mancanza e tanto più siamo contenti per ogni goccia che cade in terra. Ogni volta che bevo un bicchiere di acqua ringrazio di cuore il Signore per questo prezioso dono di sorella acqua. Si apprezza l’acqua ma anche il verde, il dono dei fratelli, il dono della comunione, il pane (anche se è secco). Dobbiamo vivere la radicalità della fede. Andare alla messa ogni giorno, celebrare e vivere sinceramente il perdono dei peccati, e la preghiera. E’ una cosa che vale per tutti, non solo per noi.
La sua testimonianza, assieme a quella dei suoi parrocchiani, sta cambiando il contesto in cui vive?
Vorrei raccontare un fatto che è accaduto proprio qualche giorno fa. Per la mancanza d’acqua tutti hanno fatto una fila di parecchie ore per prenderne un po’ dai punti di distribuzione che avevamo collocato. Erano tutti così sereni, sorridenti e pazienti che suscitavano la meraviglia a tutte le persone che passavano di lì, anche ai musulmani. Uno mi si è avvicinato e mi ha detto: non so cosa c’è di grande, ma io giro in tutta la città e vedo da dove attingono tutti, si picchiano, si spingono a vicenda, quasi si ammazzano tra di loro. Ma una pace profonda e una gioia come ho visto qui non l’ho mai vista da nessuna parte. Musulmani e cristiani che stanno assieme in fila per prendere l’acqua. E’ un ambiente di pace dentro tutta questa sofferenza, il sorriso non manca mai dalle loro facce. Forse non riusciamo a parlare molto di Cristo in questo contesto, ma con questi gesti minimi riusciamo in realtà a dire molto a tanti cuori che ascoltano e cercano qualcosa di davvero grande.
“Verrà un giorno in cui chi vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Così ha detto Gesù 2000 anni fa. Secondo lei è arrivato quel giorno?
E’ arrivato, ma noi preghiamo ogni giorno per chi ci uccide. Offriamo la messa per la loro conversione. Siamo sicuri che - se queste persone un giorno si convertiranno - diventeranno più cristiani di noi stessi. Il Signore usa le nostre preghiere e le nostre sofferenze anche per loro, e prima o poi ci darà un grande dono della fede. Ma questo processo è già iniziato! Tanti che chiedono di battezzare i loro figli, o altri che bussano al convento e vogliono sapere di più di Gesù. Noi forse non riusciamo a cogliere quanto è grande il merito della nostra sofferenza, ma siamo certi che edifica il mondo e salva tante anime. Prima – mi confidava un vescovo - pensavamo che era più opportuno tacere sulle differenze per comprare la pace, oggi sembra che il Signore non abbia accettato questo nostro modo di agire e adesso ci costringe a parlare di Cristo e annunciarlo a tutti. Quello che accade ad Aleppo è incredibile! Quanti nuovi aderenti! Quanti ricercatori, e quanti assetati che si vergognano della violenza che vedono. E quando si accorgono dell’ideale cristiano, o vedono la vita dei cristiani e la bellezza del volto di Cristo, non possono non aderire spontaneamente per abbracciare questa fede.
Oggi qual è il suo desiderio?
Oggi è il dono della pace. Di svegliarmi un giorno e vedere che la guerra è finita e pensare alla ricostruzione. Lo chiedo ogni giorno, ogni istante della mia vita.