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CINEMA

Oscar, ecco perchè l'Italia non vincerà

Storie troppo provinciali e temi di scarso respiro: anche quest'anno i film italiani saranno fuori dalla corsa alle ambite statuette.

Cultura 26_02_2011
In un mondo migliore
Mancano poche ore alla cerimonia degli Oscar e gli appassionati di cinema già si scatenano in pronostici. I più determinati seguiranno tutta la notte la diretta dal Kodak Theater di Hollywood; ma anche chi preferisce dormire controllerà comunque lunedì mattina sul televideo gli esiti. Com’è giusto, tanti discutono e fanno apprezzamenti, molti però non conoscono il regolamento e intravedono complotti hollywoodiani per la mancanza del loro film preferito.

La verità è che, come per tutti i premi, esiste un meccanismo, che nel caso degli Oscar funziona più o meno allo stesso modo dal 1928, quando fu consegnata per la prima volta la statuetta al miglior film. Promotrice del premio è l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (infatti il nome vero del premio è “Academy Award”) e di essa fanno parte qualche migliaio di professionisti del cinema di tutte le nazioni (anche se la maggioranza è ovviamente americana): produttori, registi, attori, sceneggiatori e così via, oltre a tutti quelli che hanno già vinto una statuetta. Ognuno dei membri dell’Academy vota, tra i film candidati usciti nel precedente anno solare, le nomination del suo settore. I registi per la regia, gli attori per l’interpretazione, i costumisti per i costumi, e così via. Per cui, essere nella “cinquina” delle nomination è già un riconoscimento di cui si va orgogliosi: vuol dire essere apprezzati e stimati dai propri pari, e per tutti questo è già un grande successo.

Dopo che le nomination sono state rese note, i giurati scelgono il vincitore all’interno delle “cinquine” (quest’anno quella per il miglior film è diventata però una “decina”). Qui tutti votano per tutte le categorie, e questo spiega, almeno in parte, certe delusioni o certe vittorie. Dal 1948 l’Academy assegna una statuetta anche al miglior film in lingua straniera (e il primo a vincerla fu Vittorio De Sica con Sciuscià, che fece il bis nel ’50 con Ladri di biciclette). Ogni paese che desidera partecipare esprime, tramite le associazioni di categoria, il proprio candidato, e i giurati dell’Academy decidono il resto.

Da parecchi anni (1999, La vita è bella) gli italiani non riescono a proporre un film adeguato, che sappia parlare ai giurati: storie troppo provinciali e temi di scarso respiro non reggono il confronto con film apprezzati da tutto il mondo, come ad esempio almeno tre dei titoli nella cinquina di domani: Biutiful, una complessa storia di amore e di morte; In un mondo migliore, un bellissimo film sulla paternità, e La donna che canta, una storia straziante sulla guerra civile in Libano. Particolarmente fitta la “decina” dei migliori film, che vede quest’anno la particolarità di Toy Story 3, presente anche nella categoria dei film d’animazione. Il titolo della Pixar è un capolavoro (indipendentemente dal premio), ma se la dovrà giocare con altri giganti.

Tra tutti Il discorso del re, una storia “dietro le quinte” di un bizzarro rapporto di lavoro tra un ex-attore e un futuro re, che diventerà una lunga amicizia; The Social Network, uno sguardo acuto e disincantato sul fenomeno Facebook; Il Grinta che sembra resuscitare il genere western, grazie alla inusitata presenza di Jeff Bridges in un ruolo che fu di John Wayne; Inception, per la complicatezza della trama e gli stupefacenti effetti speciali; ma anche In un gelido inverno e 127 ore (due film indipendenti a basso budget, e senza star di richiamo) hanno dalla loro una originalità non comune e l’asciuttezza della sceneggiatura, che è sempre una caratteristica molto apprezzata dai giurati. Si potrebbe andare ancora avanti a lungo nell’analisi di ogni cinquina, ma forse è meglio aspettare il verdetto dei giurati. Da lunedì potremo sbizzarrirci (anche dalle pagine di questo giornale) per confrontare il loro giudizio col nostro. Buona visione a tutti!