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GENDER FOLLIE SPORTIVE

Ora in squadra gioca "lui" e le avversarie si scansano

In Argentina una legge permette di fare attività sportiva secondo "l’identità di genere autopercepita". E a vigilare sull'applicazione sarà l'istituto apposito che si preannuncia repressivo. Un'assurdità, come si evince da una partita di hockey femminile in cui “lei” in realtà è un “lui”. E le avversarie...

Sport 02_01_2019
Saira Millaqueo

Lo sport è uno di quegli ambiti in cui risultano evidenti fino all’eccesso i cortocircuiti dell’ideologia gender, e quindi salta ancora di più agli occhi la tracotanza dei promotori dei «nuovi diritti». Vedi per esempio quanto è successo in Argentina, nella provincia di Buenos Aires, dove il 26 dicembre è stata definitivamente promulgata una legge (approvata il 23 novembre) che permetterà di fare attività sportiva, anche a livello professionistico, secondo «l’identità di genere autopercepita», dunque a prescindere dal sesso biologico.

In breve: se sei maschio potrai competere in gare femminili e viceversa. C’è chi lo chiama progresso. Secondo quanto riferisce Aci Prensa, la nuova norma - nata da un’iniziativa del deputato Federico Susbielles - mira a dare compimento alle disposizioni contenute nella legge nazionale sull’identità di genere (n° 26.743), promulgata nel 2012 e relativa all’accesso allo sport. «La legge sull’identità di genere è stata fatta, ma necessita di questo tipo di norme complementari perché in caso contrario si continuerebbe a discriminare questi collettivi», ha dichiarato il 23 novembre Susbielles all’agenzia Télam, intendendo che i collettivi “discriminati” sarebbero coloro che si dichiarano transessuali. L’esponente politico ha aggiunto che si tratta di «garantire un diritto umano».

La nuova legge stabilisce che «ai fini della registrazione, iscrizione, partecipazione e competizione nel contesto delle attività sportive di una lega, federazione o confederazione nel territorio provinciale - sia essa di carattere dilettantistico o professionistico - si intenderà per genere quello che è autopercepito dalla persona sportiva». Pazienza se in tutto questo di sportivo non ci sia proprio nulla. Per mettere in atto una disposizione totalmente opposta al buonsenso serve però un adeguato apparato repressivo (che è innanzitutto culturale, di lavaggio del cervello, e solo poi si traduce in sanzioni) che elimini le forme di dissenso. E così la legge provinciale prevede che sarà «considerata discriminatoria qualsiasi azione od omissione che impedisca il libero sviluppo delle attività elencate in ragione del genere autopercepito».

L’Istituto dello Sport di Buenos Aires sanzionerà i club, le leghe, le associazioni e le federazioni che iscriveranno gli atleti secondo un «genere» differente da quello che gli stessi atleti autopercepiscono. Parafrasando Orwell, si potrebbe dire che le regole sono uguali per tutti ma per qualcuno sono più uguali… perché dove entra in gioco la propaganda dell’associazionismo Lgbt non c’è oggettività che tenga. Il dibattito legislativo è iniziato in effetti con il caso montato da “Saira” Millaqueo, un uomo che si sente donna, il quale ha fatto ricorso alla giustizia per poter giocare in una lega di hockey femminile e dopo diversi tentativi è riuscito a raggiungere il suo scopo. Secondo Susbielles, le analisi richieste dai regolamenti per rilevare il livello di testosterone di “Saira” erano solo scuse per impedire la realizzazione dei suoi “diritti”: il deputato sostiene cioè che la legge da lui proposta farà in modo di «contribuire allo sradicamento delle pratiche discriminatorie e violente della nostra società». Quanta neolingua.

Altro caso esemplare in Argentina è quello di “Jessica” Millaman, un giocatore “transessuale” che è riuscito a partecipare a una lega di hockey femminile nella provincia del Chubut. Tra coloro che hanno avuto il coraggio di protestare contro questa imposizione contronatura c’è Patricia Navarro, giocatrice del Trelew Rugby Club, una polisportiva che conta pure una squadra di hockey su prato, la quale ha osservato, come riporta il Clarίn, che «questa non è una questione di discriminazione. Abbiamo paura di giocare in questo sport di contatto perché sebbene sia un transessuale la sua forza è quella di un uomo». Come dire che al di là dell’ideologia la natura umana non cambia. «Nell’ultima partita che abbiamo giocato con la Germinal, abbiamo perso 3-0 con tre gol di Jessica perché nessuna si avvicinava per marcarla», avendo appunto timore della forza d’urto di una persona che rimane biologicamente un uomo.

Casi come questo vanno diventando sempre più frequenti, anche al di fuori dell’Argentina, come ci ricorda la recente vittoria del canadese “Rachel” McKinnon, il primo uomo ad aver vinto il titolo iridato in una gara femminile di ciclismo su pista (precisamente nel Master che si è svolto quest’autunno a Los Angeles), bollando coloro che l’hanno criticato (tra cui la terza classificata, che aveva parlato di «risultato ingiusto») come «bigotti transfobi». Un pensiero, questo, avallato dalla cultura dominante che spaccia il calpestamento di ogni norma morale naturale per “libertà”. Le conseguenze si vedono e hanno il marchio della menzogna.