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IL CASO

Onu: imporre una tassa mondiale per finanziare l’aborto

La strumentalizzazione del sovrastimato contagio del virus Zika per imporre l’aborto stravolgendo le legislazioni dei Paesi sudamericani potrebbe essere una bazzecola di fronte alla nuova frontiera cui l’Onu sta mirando: costringere il mondo a una “tassa globale per l’aborto”. Una tassa cioè per finanziare campagne abortiste e di controllo delle nascite. Concretamente, sono allo studio imposte sulle transazioni finanziarie o imposte ad hoc sui biglietti aerei. 

Famiglia 12_02_2016
L'Onu vuole una tassa mondiale per finanziare l'aborto

La strumentalizzazione del sovrastimato contagio del virus Zika per imporre l’aborto stravolgendo le legislazioni dei Paesi sudamericani potrebbe essere una bazzecola di fronte alla nuova frontiera cui l’Onu sta pervicacemente mirando. Le Nazioni Unite cercano infatti di costringere il mondo a una “tassa globale per l’aborto”. A dare l’allarme è Austin Ruse (clicca qui), fondatore e presidente a New York del Catholic Family and Human Rights Institute, più noto come C-Fam, una ong che dal 19097 contrasta la cultura abortista monitorando strettamente quel che avviene dentro il Palazzo di Vetro e diffondendo informazioni non addomesticate. 

Ovviamente l’Onu non la chiama “tassa globale per l’aborto”; parla d’interventi salva-vita a fronte di calamità naturali o di conflitti militari, ma è solo una foglia di fico. Ogni qualvolta capita un’emergenza o accade una sciagura, le agenzie dell’Onu sono le prime a intervenire tirando immediatamente in ballo l’“igiene riproduttiva” e altre locuzioni analoghe che, come tutti sanno, celano solo inaccettabili politiche per il controllo delle nascite: aborto, contraccezione, sterilizzazione. Proprio come sta facendo ora con il virus Zika. L’Onu punta cioè ad avere a un portafoglio tutto suo per implementare direttamente quel che le sue agenzie intendono per vita, salute e riproduzione. Ruse sottolinea che tra quel che stabilisce il Segretario generale e quel che poi fanno le agenzie Onu nel mondo c’è spesso una differenza enorme; è così, per esempio, per la questione, attualissima, del gender. Ma è proprio la mano libera che tali agenzie hanno ben al di là dei proclami ufficiali a preoccupare. 

Sta tutto nel rapporto sul finanziamento degl’interventi umanitari che è stato sottoposto in gennaio al Segretario generale, intitolato "Too important to fail—addressing the humanitarian financing gapW (clicca qui) (“Troppo importante per fallire: a proposito del buco finanziario umanitario”). La spesa attuale per assistere 125 milioni di persone nel mondo, dice il rapporto, ammonta oggi a 25 miliardi dollari. Ma c’è bisogno di altri 15 miliardi. Un mucchio di soldi, si riconosce, ma nulla se si tiene conto che il prodotto interno lordo annuale del mondo intero è di 78mila miliardi di dollari. Per individuare come colmare il buco è stato dunque istituito un gruppo di lavoro che darà risposte in occasione del World Humanitarian Summit che le Nazioni Unite hanno in programma a Istanbul in maggio. 

Il grande scoglio è il fatto che sin dall’origine le contribuzioni dei Paesi membri di cui l’Onu vive sono su base volontaria. L’Onu non ha cioè una rendita fissa, ma deve sottostare agli orientamenti dei governi. George W. Bush Jr., per esempio, fece mancare per ben otto anni i pingui finanziamenti americani all’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione, proprio perché con i soldi racimolati dai governi l’Unfpa promuoveva nel mondo, e promuove, il controllo delle nascite. L’Onu ha dunque necessità di uscire da questo cul-de-sac garantendosi un gettito diretto attraverso l’istituzione di un meccanismo che resti impenetrabile alle politiche dei Paesi membri. Concretamente, sono allo studio imposte sulle transazioni finanziarie sul modello della famosa Tobin Tax o imposte ad hoc sui biglietti aerei. 

Dal 2006 esiste del resto già Unitaid, l’iniziativa intrapresa da alcuni Paesi per concertare la lotta alla malaria, alla tubercolosi e – eccolo che arriva – quell’Aids che fa sempre pendant con la “salute riproduttiva”. Dalla creazione al 2011, riporta il citato documento, l’Unitaid ha accumulato 1,6 miliardi di dollari attraverso l’accisa sui biglietti aerei imposta da 10 dei 29 Paesi suoi membri. Per la cronaca, lo Unitaid è ospitato a Ginevra nel palazzo dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e opera attraverso alcuni grandi nomi tra cui la stessa Oms, Médecins Sans Frontières e la Clinton Health Access Initiative, fondata nel 2002 dall’ex presidente degli Stati Uniti.

Se la “global tax” sull’aborto passerà, finalmente l’Onu diverrà per intero ciò che oggi è solo in parte, seppure abbondantissima: un super Stato mondiale dotato dell’autonomia economica necessaria a bypassare le Nazioni per imporre, attraverso le mille realtà che tiene a budget, le esigenze mondiali della “salute riproduttiva”. Basterà una carestia, uno tsunami, una guerra, un’emergenza migratoria o anche solo la prossima epidemia per imporre alle popolazioni in questo modo doppiamente sventurate l’aborto, la contraccezione e la sterilizzazione in barba alle legislazioni nazionali che eventualmente impediscano o condizionino quelle misure. Zika è forse soltanto la prova generale.