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IMMIGRAZIONE

Onda migratoria sull'Ungheria Ue divisa sulla frontiera

L'Ungheria è la nuova prima linea dell'Europa di fronte all'ultima ondata migratoria. Lasciata sola dall'Ue, ha costruito un muro al confine con la Serbia e trattiene e Budapest gli emigranti che vorrebbero andare in Germania. Perché al paese centro-europeo mancano le risorse per sistemare i richiedenti asilo e soprattutto perché all'Ue manca una politica comune per gestire l'onda umana.

Esteri 02_09_2015
Immigrati davanti ai cancelli della stazione Keleti

L’Ungheria è la nuova prima linea dell’Europa di fronte all’ondata migratoria che arriva dai Balcani. Ogni paese ha la sua scena simbolo, ormai. Se l’Italia è diventata famosa per gli sbarchi di Lampedusa, la Spagna per gli emigranti arrampicati sulla barriera di Ceuta e la Macedonia per gli assalti ai treni, in Ungheria il luogo simbolo è  la piazza della stazione Keleti, piena di migliaia di immigrati, tenuti lontani dai binari da un cordone di polizia.

Finora i media italiani si sono comprensibilmente concentrati sull’immigrazione nel Mediterraneo centrale, che è quella che riguarda direttamente il nostro paese. Ma nel corso del 2015, il flusso maggiore si è trasferito nel Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) e attraverso la penisola balcanica, verso mete nell’Europa centrale e settentrionale. Non sono tanto gli africani che arrivano da quei corridoi, ma i siriani, gli afgani, i pakistani. Solo contando gli immigrati clandestini (cioè: privi di documenti in regola), Frontex ha stimato che nel 2014 quelli giunti dal Mediterraneo centrale fossero circa 180mila, poco più di 50mila nel Mediterraneo orientale e poco meno di 50mila attraverso i Balcani. In questi primi otto mesi del 2015, il numero degli immigrati clandestini individuati da Frontex è salito a 350mila, la maggior parte dei quali arrivano in Grecia (230mila) e in Italia (115mila). La traversata dei Balcani riguarda più di 100mila clandestini nei primi otto mesi del 2015. La porta di accesso principale per l’Europa centrale è l’Ungheria. La soluzione adottata dal governo conservatore di Viktor Orban è la costruzione di una nuova barriera al confine con la Serbia, l’unico tratto meridionale che coincide con la frontiera comune europea visto che la Serbia, contrariamente a Romania e Croazia, non fa parte dell’Ue.

La costruzione di una barriera nel tratto di confine con la Serbia ha sollevato non poche polemiche intra-europee. In primo luogo viene giudicata come un espediente per deflettere l’immigrazione di massa verso altri membri meridionali dell’Ue, Croazia e Romania in primo luogo. Alla barriera fisica si è aggiunta anche quella legale, con la riforma sull’immigrazione introdotta dal parlamento di Budapest: a quei richiedenti che arrivano attraverso un paese “sicuro” (come la Serbia o qualunque membro dell’Ue) non verrà riconosciuto lo status di rifugiato. In questo modo il governo di Budapest si libererà dell’incombenza di dover registrare sul proprio territorio i richiedenti asilo, scaricando il gravoso compito sui vicini. Secondo la convenzione di Dublino per i richiedenti asilo, ai rifugiati che fanno domanda di ingresso devono essere garantiti standard di vita adeguati, alloggio, vitto, consulenza medica e legale, la possibilità di accedere alla forza lavoro entro 9 mesi per gli adulti e l’accesso al sistema scolastico locale entro 3 mesi per i minorenni. Questi standard, alcuni paesi, semplicemente non se li possono permettere. L’Ungheria, sulla quale grava una prolungata crisi economica, è uno di questi casi. La Grecia non può permettersi di riprendere i rifugiati ormai avviati nel loro viaggio nei Balcani: non solo è nelle condizioni economiche che tutti conosciamo, ma le sue isole al confine con la Turchia già scoppiano. Non che la Croazia o la Romania abbiano più risorse da dedicare a una massa di richiedenti asilo, anzi…

Quel che il governo di Budapest sta facendo è dettato anche da motivi politici interni, con la crescita dell’opposizione di destra. Dopo l’inizio della grande ondata migratoria, nell’aprile scorso, i sondaggi davano un quasi-sorpasso del partito di estrema destra Jobbik (17%) sul partito di governo Fidesz (21%). La fiducia nei confronti del premier Orban, scesa ai minimi storici, è risalita in giugno solo grazie al suo discorso sulla “Ungheria agli ungheresi” e all’annuncio della costruzione del muro meridionale. Il razzismo, in Ungheria, è un problema serio, non solo uno stereotipo. Basti solo considerare come si è espresso in un'intervista rilasciata al quotidiano nazionale Magyar Hirlap, l’ex premier Peter Boross (al governo dal 1993 al 1994): “Anche se nessuno ha avuto il coraggio di dirlo fino in fondo, l’immigrazione è un problema di razza e di etnia, non di cultura o di civiltà. E’ un problema di razza, perché milioni di persone che parlano lingue differenti e hanno un diverso colore della pelle rispetto a quello degli europei, stanno entrando in Europa. Non solo hanno una cultura diversa, essi hanno, soprattutto, un diverso istinto, accompagnato da differenti capacità genetiche e biologiche”. Un razzismo biologico, apertamente dichiarato, da questa parte dell’Europa non lo sentiamo più dagli anni ’40. In Ungheria, evidentemente, dopo mezzo secolo di comunismo livellatore, è un pensiero ancora vivo, anche nelle persone di più alto livello come Boross. Una prolungata crisi dell’immigrazione, se non gestita con la massima attenzione, può dunque far scoppiare una vera polveriera.

Le migliaia di immigrati che sono già arrivati fino a Budapest ed ora premono per proseguire il viaggio verso l’Austria e la Germania sono sospesi da una disputa sulla gestione dei rifugiati fra l’Ungheria e gli altri governi centro-europei. Da un punto di vista legale, la posizione di Orban può essere difficilmente contestata. “Stiamo difendendo l’Europa” recita un comunicato stampa del portavoce del governo Zoltan Kovacs. “E’ inaccettabile la situazione in cui decine o anche centinaia di migliaia di persone arrivano illegalmente ai confini dell’Unione Europea, senza che le autorità sappiano chi sono o da dove arrivino. Non è vero che quelli che entrano in Ungheria possano viaggiare altrove liberamente. I regolamenti europei richiedono che una persona che vuole andare in Austria o in Germania, ad esempio, abbia i documenti necessari per farlo. La gente accalcata alla stazione di Keleti, a Budapest, chiede che le si conceda un libero passaggio e chiedono dunque un qualcosa che non è permesso stando all’attuale legislazione europea. Alla luce di tutto ciò, le critiche rivolte all’Ungheria su come stia rispettando i suoi obblighi, sono inspiegabili. Il governo ungherese vuole che si intraprenda un’azione comune europea, accettabile per tutti gli stati membri, il prima possibile”. La spinta verso la Germania, la crisi alla stazione di Keleti sono in parte causate dai più recenti discorsi di Angela Merkel che, oltre a condannare ogni forma di razzismo e di discriminazione nei confronti degli immigrati, si è detta disponibile a semplificare le pratiche per l’accoglienza dei rifugiati dalla Siria, un terzo di tutti coloro che arrivano dai Balcani. Questo atteggiamento di apertura ha generato sicuramente forti aspettative in quegli emigranti che urlano “Germania! Germania!” davanti ai cancelli chiusi della stazione di Budapest, sventolando biglietti già comprati per Vienna, Monaco, Francoforte o Amburgo. Adesso, dunque, il governo ungherese chiede chiarimenti urgenti a Berlino, se non altro per sapere quali regole applicare per il transito sul suo territorio.

La risposta europea, come sempre, latita. Un prossimo vertice sull’immigrazione si terrà solo il 14 settembre, chiesto da Germania, Francia e Gran Bretagna. La conferenza internazionale dell’Onu è stata programmata per il 30 settembre. E nel frattempo? La Commissione Europea stanzierà altri 185 milioni di euro per l’Ungheria, perché sia maggiormente in grado di gestire la situazione. I soldi sono comunitari, ma fino al prossimo accordo (sempre che ci sia) le politiche per la frontiera comune restano strettamente individuali, decise dai singoli governi.