IL CASO
Oltre l'abisso, c'è un padre a Novi Ligure
Tra tante cose infelici, risalta in positivo l'esempio del papà di Erika, Francesco De Nardo, segno dell'amore incondizionato che tutti desideriamo.
Editoriali
12_12_2011
E' notizia di questi giorni che Erika De Nardo, che undici anni fa a Novi Ligure uccise la madre e il fratellino, lascerà la comunità Exodus dove ha scontato gli ultimi mesi del carcere.
La notizia è accompagnata da un velo di amarezza per il suo contorno mediatico poco sobrio: la lettera aperta di don Mazzi a Erika, quella altrettanto aperta di Erika a Omar (che, ricordiamolo, non è più una adolescente, ma una donna di ventisette anni undici dei quali passati a scontare una pena per l'omicidio dei famigliari), fotografie paparazzate e servizi televisivi sempre un pochino morbosi.
In questo clima si è distinto per dignità e sobrietà Francesco De Nardo, padre di Erika, che ha mantenuto lo stesso atteggiamento riservato che lo ha caratterizzato in tutti questi anni. Il pensiero corre ovviamente all'uso che altri padri, coinvolti in vicende altrettanto drammatiche, hanno fatto dei media, dai quali il comportamento del signor De Nardo si distingue in maniera netta.
Francesco De Nardo, un padre che non ha mai lasciato sola la figlia; che in tutti questi anni ha saltato solamente un paio di visite alla figlia, durante le quali la incoraggiava a studiare; che al funerale della moglie e del figlio ha portato due corone, una con scritto “Da tuo marito e da tua figlia” e sull’altra: “Da tuo padre e da tua sorella”.
Il suo comportamento ha lasciato sbigottiti molti: che sia impazzito? Che abbia “rimosso” l'accaduto? Che neghi la colpevolezza della figlia?
Tra le poche frasi dell'ingegner De Nardo comparse sui media una pare illuminante: “Devo proteggerla, al limite anche da se stessa. Una ragazza della sua età deve per forza avere un futuro. Ma quando la guardo, a volte penso: dove ho sbagliato?”.
Dunque Francesco De Nardo non è impazzito, non ha rimosso, non nega. Ha un unico scopo: proteggere sua figlia “al limite anche da se stessa”, la figlia che ha ucciso suo figlio e sua moglie. Cerca – ancora più sconvolgente – le proprie responsabilità: dove ho sbagliato?
Torna alla mente il brano di Peguy dedicato al padre di famiglia: “Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscuramente, molto profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsabilità senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale”.
Non conosco Francesco De Nardo, ma quello che so di lui mi permette di riconoscerlo: è il padre di famiglia. Ripeto: una paternità così assoluta, così totale, così sacrificale è sconvolgente.
È sconvolgente perché non riusciamo a concepire un amore così incondizionato. Non riusciamo a credere che quando qualcuno ci dice “Ti amo” non ponga condizioni, sia per sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà, fino alla morte.
Non riusciamo a credere che l'uomo possa amare come ama Dio.
Forse non riusciamo nemmeno più a credere che Dio ami gli uomini.
Che ci ami. Così come siamo.
Non crediamo alla parabola del figliol prodigo, non crediamo alla divina misericordia, non crediamo – horribile dictu – al Sacrificio della Croce.
L'ingegner De Nardo ci ricorda che un amore così, che tutti desideriamo, sogniamo, per il quale tutti proviamo una misteriosa nostalgia, è possibile; che è possibile essere amati nonostante, e proprio per i nostri peccati, per quanto orribili possano essere; che possiamo essere amati incondizionatamente, così come siamo.