Oltre la violenza, per sfide che possiamo vincere
La violenza ci conduce direttamente a ritrovare il mistero buono e beatificante della presenza del Signore nella nostra vita, che cambia il nostro cuore, ci fa ritrovare il senso profondo della nostra dignità, ci spalanca senza paure ai nostri fratelli uomini. E ci fa entrare con fiducia nel contesto della nostra vita quotidiana, che certamente è una serie di sfide, ma che l’uomo di fede sa accettare, con cui sa confrontarsi e che ha la certezza di saper vincere.
C‘è una peste che si diffonde quasi inarrestabilmente nella struttura della nostra vita personale e sociale: la violenza. La violenza che lentamente trova e poi distrugge i sacri vincoli di gratuità, di dedizione e di fedeltà su cui è fondata la famiglia, che adesso, sprezzantemente, la mentalità dominante, il potere dominante si permette di definire una posizione da “sfigati”.
Questa violenza impedisce di essere tranquilli in qualsiasi rapporto, nella vita personale e sociale. Una violenza che convince l’uomo che non deve fidarsi di nessuno, l’antico motto del filosofo Hobbes torna straordinariamente attuale: l’uomo è lupo per il suo simile, homo homini lupus.
Questa violenza, che sembra inarrestabile e che è la cifra di questa nostra società, impone o implica una assoluta insicurezza. Non siamo sicuri più di niente, non siamo sicuri che dietro ogni rapporto non si celi una volontà che tenda ad eliminarci, tenda a manipolarci, tenda ad asservirci a un progetto che non nasce da noi e che ci viene imposto con i mezzi persuasivi della mentalità dominante dai mass media.
La violenza, che ha come conseguenza questa insicurezza, sembra invincibile e costituisce certo il contesto di vita nel quale tutto ciò che l’uomo esigerebbe fosse certo e sicuro non è più certo e sicuro.
Questa violenza dunque ha radice nell’uomo, dipende dalla concezione che l’uomo ha di sé. Se l’uomo ritiene di essere il padrone del mondo o la misura delle cose, se l’uomo pretende di essere l’inizio e la fine della realtà, allora ciò che egli sente, ciò che egli prova, ciò che egli desidera, ciò che egli è capace di compiere è l’unica regola della vita. La regola che non ci sono più regole.
Quante volte abbiamo sentito fare questa affermazione negli ultimi decenni. E questo ha certamente dissolto il rapporto educativo. Qualsiasi rapporto educativo nasce e si sviluppa all’interno di una sicurezza, di una impossibilità a dubitare dell’altro, di una serena e tranquilla fiducia in cui l’uomo si apre a colui che gli sta accanto, e guardando il quale egli non teme, guardando il quale sente che è necessario aprirsi in modo sempre più vero e incondizionato.
Oggi, in questo cammino quaresimale, la violenza da un lato ci viene accanto come una inimicizia che ci accompagna e che corrode la nostra esistenza, ma dall’altro lato può costituire un aspetto provvidenziale, e tocca alla saggezza della Chiesa fare emergere questo aspetto provvidenziale. Tale violenza dunque è un’occasione per rinnovare umilmente la certezza che essa è stata definitivamente vinta, è stata vinta da una Presenza che non ha contrapposto alla violenza dominante una nuova e più terribile capacità di violenza. È stata vinta da una presenza la cui logica non era la violenza ma l’amore, l’affermazione incondizionata dell’altro nella Presenza e per la Presenza di Cristo.
La violenza quindi ci conduce direttamente a ritrovare il mistero buono e beatificante della presenza del Signore nella nostra vita, che cambia il nostro cuore, ci fa ritrovare il senso profondo della nostra dignità, ci spalanca senza paure ai nostri fratelli uomini. E ci fa entrare con fiducia – don Luigi Giussani diceva con una fiduciosa baldanza - nel contesto della nostra vita quotidiana, che certamente è una serie di sfide, ma che l’uomo di fede sa accettare, con cui sa confrontarsi e che ha la certezza di saper vincere.
In questo cammino quaresimale dunque, la presenza della violenza in noi e nel mondo ci fa capire che dentro il mondo, nel cuore del mondo, più in profondità della violenza sta un’altra Presenza, un’altra dimensione e un’altra misura della vita. La “misura alta” della vita di cui ci ha parlato papa Benedetto XVI.
Noi chiediamo al Signore in questo cammino quaresimale che ci faccia partecipare a questa misura alta della vita, che ci faccia sorpresi di quella profondità miracolosa che è dentro ogni istante della nostra esistenza, di questo impeto buono che ci spalanca al mondo senza paure e senza violenza, e che ci fa amare ogni momento ed ogni incontro. È questo che, provvidenzialmente, la violenza che sembra invincibile ci costringe a ritrovare: il senso buono della vita.
Ma il senso buono della vita non è un dato di partenza, il senso buono della vita nasce dall’incontro con il Signore. Per questo il nostro cammino quaresimale è l’approfondimento del nostro umile rapporto con il Signore, che ci ha salvato e continua a salvarci.
Per questo la grande saggezza della nostra vita cristiana è la preghiera. E fra le preghiere, ecco la più antica, la più semplice, la più profonda, quella che rimane inarrivabile e che centinaia e centinaia di generazioni hanno ripetuto nella loro esistenza, con maggiore o minore consapevolezza: Vieni Signore Gesù.
È questo che chiediamo al Signore, che venga sempre più in noi e ci consenta di accoglierlo fino in fondo, perché la nostra vita venga completamente trasformata. E forti di questa trasformazione guardiamo gli uomini e le cose con una innegabile simpatia che ci fa solidali con tutti, nella buona e nella cattiva sorte, secondo il dettato di Paolo: «Portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete alla legge di Cristo» (Gal 6,2)