Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
GIORNO DELLA MEMORIA

Olocausto cattolico, crimine dimenticato

Domani si celebra il Giorno della memoria per commemorare le vittime dell'Olocausto. Una pagina nera della storia del Novecento in cui non mancano delle luminose figure di martiri cattolici. La storia di Michele Kozal, vescovo, santo e martire.

Cultura 25_01_2013
Giorno della Memoria

Domani si celebra il Giorno della memoria per commemorare le vittime dell'Olocausto. Una pagina nera della storia del Novecento in cui non mancano delle luminose figure di martiri cattolici.
Michele Kozal nacque nel 1893 in diocesi di Poznan, in Polonia, da una famiglia povera. Con molti sacrifici riuscì a iscriversi alle superiori nel 1905. Qui divenne presidente di un’associazione clandestina cattolica che si opponeva ai tentativi di germanizzazione delle scuole (l’influenza prussiana era molto forte in quella zona).

Nel 1914 entrò in seminario, ma poté essere ordinato sacerdote solo alla fine della Grande Guerra. Viceparroco in un paio di parrocchie e poi rettore del seminario di Gniezno, nel 1939 il papa Pio XII lo nominò vescovo ausiliare di Wloklawek e titolare di Lappa. Nello stesso anno i tedeschi invadevano la Polonia e dopo due settimane erano a Wloklawek; il vescovo titolare partiva ma il Kozal restava al suo posto.

Cominciò la proibizione della stampa cattolica, il sequestro degli edifici ecclesiastici e la chiusura delle chiese. La Gestapo convocò il Kozal e gli ordinò di predicare in tedesco, ma lui rifiutò. Dopo un mese venne arrestato, messo in cella d’isolamento e lasciato alle angherie (ma anche alle sevizie) dei secondini.
Nel gennaio del 1940 lui e gli altri sacerdoti arrestati vennero trasferiti a Lad, dove dovevano stare agli arresti domiciliari in un istituto salesiano.

La Santa Sede, sperando di giovargli, gli fece giungere la nomina ad amministratore di Lublino, ma dopo pochi mesi la Gestapo lo internò nel lager di Inowroclaw. Qui il santo vescovo fu sottoposto a torture.
Nel 1941 l’ultimo trasferimento, a Dachau, dove la mano sui sacerdoti cattolici era particolarmente pesante. Qui il Kozal nel 1943 si ammalò di tifo e, insieme al cugino Ceslao Kozal, sacerdote religioso, fu portato nella baracca dei malati. Fu terminato con un’iniezione letale.

Era il 26 gennaio. Ben conoscendo la coincidenza tra cattolicesimo e spirito nazionale nei polacchi, l’invasore nazista non poteva esimersi dal colpire i pastori per meglio disperdere il gregge. Tutti quelli che furono vicini al Kozal e i compagni di sventura testimoniarono della sua santità, dimostrata fino all’ultimo momento. Senza gesti eroici e frasi storiche da lasciare ai posteri.

Fu santo anche nei confronti dei suoi oppressori e uccisori, poveri esecutori materiali di ordini stupidi, più o meno conniventi, più o meno convinti della bontà dell’idea che, a mano armata, rappresentavano, tutti accomunati dalla stessa disperata ignoranza di Dio e di ciò che è bene e ciò che è male.
Oggi una lapide nella cattedrale di Wloklawek ricorda il martirio silenzioso di Michele Kozal nonché quello degli altri duecentoventi sacerdoti della diocesi «terminati» a Dachau e minima parte di un Olocausto cattolico che, a quanto pare, è buon gusto non ricordare.

Spiacenti ai pretesi progressisti di sinistra e a certi revisionisti di destra, i morti cattolici (e morti perché tali) dei lager nazisti non hanno cinematografia che li celebri né fotografie da appendere nelle scuole «per non dimenticare».