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SANITÀ

Offensiva centralista contro le Regioni che fanno bene

Lombardia e Veneto hanno dimostrato in queste settimane di avere visto meglio del governo centrale nell'affrontare la crisi da Covid-19. Ma da Roma è iniziata una guerra contro l'autonomia regionale, sostenuta dai grandi giornali, che nega l'evidenza e punta a un nuovo radicale centralismo statale.

Politica 03_04_2020
Corsie del nuovo ospedale in Fiera Milano

A parole, dai piani alti e altissimi della politica e delle istituzioni, si continua a invocare unità, a chiedere anzi pretendere che le polemiche siano rinviate a dopo. Nei fatti è cominciata da tempo una critica sempre meno strisciante e più esplicita da parte di membri del governo verso l’operato delle regioni, in particolare Lombardia e Veneto, nelle strategie anti Covid19. 
La polemica si è fatta più forte soprattutto di fronte ad alcune scelte che queste regioni hanno fatto contro il parere delle autorità centrali e che si sono dimostrate azzeccate.

L’esempio più eclatante è quello dell’Ospedale con 300 letti di terapia intensiva realizzato in meno di 15 giorni dalla Lombardia nei padiglioni di FieraMilano. Progetto osteggiato a lungo dalla Protezione Civile nazionale e dal suo capo Borrelli con l’evidente avallo del governo (furibondo anche per il ruolo di Bertolaso). Progetto, anzi realizzazione, che oggi appare a tutti la scelta giusta per dare un sollievo agli altri ospedali non solo della Lombardia ma di tutta Italia.

Ma la stessa ostilità si è manifestata verso il Veneto che ha scelto a proprie spese un maggiore utilizzo dei tamponi nei confronti dei cittadini, una decisione che sta dando risultati insperati, ma che da Roma si era a lungo cercato di impedire.  E si ha notizia che addirittura due regioni come Toscana e Puglia hanno da pochissimo cominciato a testare alcune apparecchiature, sconsigliate dal centro, che sembra possano dare risultati positivi.
Del resto è dall’inizio degli eventi che Lombardia e Veneto, in una serie di passaggi, si dimostrano più sagge e lungimiranti del governo nazionale. Sono state loro le prime a lanciare e a rilanciare un allarme forte e preoccupato sulla gravità della crisi, sulla necessità di prendere provvedimenti immediati e forti (con la spensierata eccezione del sindaco di Milano Sala).

Tutte situazioni nelle quali appare evidente che l’’intuito’ e il modo di governare delle regioni, pur non privo anch’esso di errori, si è dimostrato più intelligente e capace di risultati di quello del governo, anche perché facilitato dalla maggiore vicinanza ai territori e ai cittadini.
Bene, tutte questioni da esaminare con calma e spirito di collaborazione ‘dopo’, per individuare insieme gli eventuali cambiamenti da apportare e i miglioramenti da introdurre.

No, invece. In maniera strisciante prima, ma via via sempre più esplicita, è iniziata un’offensiva del tutto inopportuna contro una pretesa inadeguatezza delle regioni. Dalla Protezione civile nazionale, che ha sequestrato a Malpensa grossi carichi di mascherine acquistati dalla Lombardia per poi distribuirli come fossero una sua conquista, al ministro Boccia che ha pubblicamente attaccato Lombardia e Veneto dicendo “da sole avreste combinato disastri”, è stato un crescendo a delegittimare l’azione di Fontana e Zaia.

Ma quel che è ancora più pericoloso è l’offensiva mediatica. Le principali testate da giorni pubblicano articoli ed editoriali per avallare l’idea di una inadeguatezza del federalismo e dello stesso regionalismo alla situazione italiana. Si fanno fautori di un ritorno della sanità e di altre materie sotto l’esclusivo controllo dello Stato. E in particolare Corriere della Sera, Repubblica e Fatto quotidiano non lasciano passare giorno senza attaccare la sanità lombarda e il suo sistema di collaborazione pubblico-privato che invece ha saputo tenere di fronte alla gravissima crisi.

Tutti puntano a cancellare, con una nuova riforma in un breve futuro, quel poco che rimane delle autonomie locali e regionali, in vista di un nuovo radicale centralismo statale. Un centralismo feroce, che non sarebbe solo amministrativo ma anche politico, culturale, di costume. Un centralismo da pensiero unico, che cancelli quel poco di pluralismo e autonomia delle nostre comunità insieme, è ovvio, anche alle loro tradizioni culturali umanistiche e religiose.