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MEDIORIENTE

Obama in Arabia tra due fuochi Il nodo è l’Iran

La visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama in Arabia Saudita non avviene in un contesto amichevole e la vecchia “alleanza di ferro“ sembra essere tramontata ormai da tempo. Riad dubita di Obama   per il blando impegno degli Usa contro la Siria di Bashar Assad e poi per il sostegno americano al negoziato sul nucleare iraniano. Così i sauditi sono convinti che gli Usa sono ormai un ambiguo rivale se non un nemico.

Esteri 21_04_2016
Barak Obama e il monarca saudita Salman bin Abdelaziz

La visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama a Riad non avviene in un contesto amichevole e la vecchia “alleanza di ferro“ che univa i due Pesi sembra essere tramontata ormai da tempo. Riad dubita di Obama fin dal sostegno alle cosiddette primavere arabe che minacciarono di destabilizzare anche le monarchie del Golfo, ma prima il blando impegno degli Usa contro la Siria di Bashar Assad e poi il sostegno americano al negoziato sul nucleare iraniano hanno convinto i sauditi che gli Usa sono ormai un ambiguo rivale se non un nemico.

Valutazioni che trovano conferme, agli occhi di Riad, nel progetto di legge bipartisan che consentirebbe alle famiglie delle vittime degli attentati dell’11 settembre 2001 di citare in giudizio il governo di Riad per il ruolo giocato da elementi di quel regime negli attacchi effettuati da terroristi di al-Qaeda in gran parte sauditi. Non è un caso che ben 28 pagine del rapporto sull’11/9 dedicate ai rapporti tra Riad e al-Qaeda siano ancora segretate e i timori di Riad che vengano rese note sono ben evidenziati dalle indiscrezioni circa la minaccia saudita di vendere titoli del debito pubblico statunitense per 700 miliardi di dollari se la legge dovesse passare.

L'amministrazione Obama si oppone fermamente e potrebbe porre il veto, ma questo non sembra rasserenare gli animi sauditi tenuto conto, inoltre, che tra pochi mesi cambierà l’inquilino della Casa Bianca. I sauditi devono oggi confrontarsi con un insieme di situazioni negative mai vissute prima: il rafforzamento del nemico scita “persiano”, l’impegno bellico dei propri soldati in Yemen, la perdita di fiducia nell’alleato storico e una crisi finanziaria che provoca per la prima volta deficit nei bilanci pubblici del regno. Sul piano economico Riad ha puntato a mantenere basso il prezzo del petrolio per danneggiare lo shale-oil statunitense ma anche l’Iran e la Russia che sostengono il regime siriano e hanno costi estrattivi più alti rispetto alle monarchie del Golfo. 

Ciò nonostante Teheran è tornata con prepotenza sul mercato del greggio: il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha annunciato che le esportazioni di greggio sono cresciute di 1,1 milioni di barili al giorno e, secondo il vice ministro del Petrolio Rokneddin Javadi, entro due mesi la produzione petrolifera iraniana raggiungerà i livelli precedenti l'entrata in vigore delle sanzioni, cioè 4 milioni di barili al giorno. Il fallimento del vertice dell’Opec di Doha, in cui non è stato trovato un accordo per contenere la produzione e far risalire le quotazioni del greggio è stato presentato come un successo dalla stampa iraniana poiché la priorità di Teheran oggi non è il contenimento del prezzo ma riacquisire quelle quote di mercato perdute a causa delle sanzioni i e acquisite in buona parte dai sauditi grazie ai forti sconti praticati e consentiti dai margini di utile garantiti, anche col greggio a basso costo, dall’estrazione a basso costo dalle sabbie della Penisola Arabica.

Tensioni altissime anche sui campi di guerra. Nello Yemen l’intervento militare saudita e degli Emirati del Golfo non ha dato i risultati sperati, ma sta determinando un impatto sociale negativo dovuto all’assenza di successi e alle crescenti perdite subite dalle forze saudite. Nella “guerra per procura” in corso, gli iraniani sostengono i ribelli sciti Houthi e la fragile tregua in atto dovrebbe portare a colloqui in pace in Kuwait. In Siria, invece, le truppe di Teheran sono in prima linea al fianco dei governativi siriani, non solo con i pasdaran ma anche con reparti regolari di paracadutisti che combattono contro l’Isis, i qaedisti di al-Nusra e le milizie salafite composte da volontari sauditi e sostenute da Riad.

Il conflitto, del resto, sembra inoltre destinato a riacutizzarsi dopo lo stop ai negoziati di Ginevra e la fine sostanziale della tregua che per un mese aveva indotto molti a sperare che una soluzione diplomatica fosse a portata di mano. Il confronto militare tra le due potenze regionali si sviluppa anche in due settori strategici. Il rischio che Teheran si doti comunque di bombe nucleari sembra aver indotto Riad a garantirsi la possibilità di accedere ad armi atomiche dell’arsenale pakistano, peraltro sviluppato solo grazie ai petrodollari sauditi. L’ipotesi che la “pace” nel Golfo Persico venga presto assicurata da un equilibrio nucleare non è certo incoraggiante per una regione che contiene le più importanti riserve di greggio del mondo.

Il secondo aspetto riguarda invece il programma di riarmo convenzionale di Teheran che punta ora, cadute le sanzioni, ad ammodernare i suoi arsenali in Russia con i missili da difesa aerea a lungo raggio S-300 (in consegna entro l’anno), i carri T-90 (come quelli forniti da Mosca all’esercito siriano) e i caccia Sukhoi 30 la cui consegna viene ostacolata dagli Stati Uniti in seno alle Nazioni Unite. Di certo il potenziamento militare di Teheran ingigantirà la corsa al riarmo in tutta la regione per la gioia delle grandi aziende del settore difesa statunitensi, russe ed europee.

Il rischio di un confronto militare diretto tra sauditi e iraniani non è limitato ai cieli e alle acque del Golfo, come ha chiarito il monito lanciato dall’Iran che si è detto pronto a colpire «gruppi terroristici che operano in altri Paesi, se si avvicineranno entro 40 chilometri dai confini iraniani». In altri termini, le forze armate di Teheran interverranno, se necessario, nelle zone frontaliere dell'Iraq e del Pakistan, dove l'Arabia Saudita, secondo le accuse di media e autorità militari iraniane, sta armando e finanziando gruppi di kamikaze pronti a compiere attentati suicidi in territorio iraniano. «La nostra linea rossa è 40 chilometri oltre il confine: chiunque la oltrepassa dovrà vedersela con una dura risposta», ha affermato il generale Ahmed Reza Pourdestan, capo delle forze armate di terra in una intervista alla Press Tv. L'Arabia Saudita «sta aiutando i takfiri (i terroristi dell'Isis e di Al Qaeda) ad avvicinarsi ai confini iraniani».

Il giornale Kayhan, riprendendo notizie  provenienti dal Kuwait e attribuite a fonti della stessa casa reale saudita, ha riferito che nelle scorse settimane Riad ha inviato cinque aerei cargo C-130 pieni di armi a gruppi terroristici che operano nella provincia sud-orientale pakistana del Balucistan, al confine con l'Iran. Gli aerei sarebbero atterrati nell'aeroporto di Dalbandin, costruito a suo tempo con fondi sauditi. Inoltre, via Kuwait, i sauditi stanno inviando munizioni a gruppi di terroristi anti-iraniani attivi nella provincia sud-occidentale del Kuzistan, abitata da una consistente e turbolenta  minoranza araba sunnita. Anche se nessuno parla di guerra imminente la situazione tra Teheran e Riad è così tesa che non sono riusciti ad accordarsi neppure sul rilascio dei visti ai cittadini iraniani che vogliono recarsi in pellegrinaggio alla Mecca.